Micron riduce del 40% i dipendenti nelle proprie 4 sedi italiane
L'azienda americana, con una presenza di circa 1.100 dipendenti in Italia, annuncia un taglio radicale nel numero dei dipendenti. Si cerca, anche attraverso il ministero, un punto d'incontro che per il momento è ancora lontano.
di Paolo Corsini pubblicata il 30 Gennaio 2014, alle 15:31 nel canale MercatoSono trascorsi 10 giorni dall'annuncio di Micron Semiconductor, quarto produttore mondiale di semiconduttori nel 2013, di voler procedere con 419 esuberi di propri dipendenti da 4 sedi produttive italiane. Si tratta di una cifra che incide su circa il 40% dei poco meno di 1.100 dipendenti circa che l'azienda americana vanta in Italia.
Gli esuberi sono 223 nella sede di Agrate, su 507 dipendenti, 127 in quela di Catania (con 324 occupati), 52 ad Arzano su 131 dipendenti e 17 ad Avezzano (92 i dimendenti di questa sede). In considerazione del tipo di attività svolto dall'azienda si tratta di posizioni professionali dalla notevole specializzazione: ingegneri, tecnici e personale impegnato nella ricerca e sviluppo. Le sedi italiane di Micron sono entrate nell'orbita dell'azienda americana negli scorsi anni a seguito di operazioni di acquisizione: con queste Micron ha accresciuto la propria presenza nel mercato delle memorie e con questo contribuito ad ottenere risultati finanziari di rilievo, sfruttando tecnologie, brevetti e pacchetto clienti che negli anni precedenti erano stati sviluppati.
Alla base della riduzione del personale programmato dall'azienda le conseguenze dell'acquisizione della giapponese Elpida, altro player nel settore delle memorie. Con questa operazione Micron Technology ha inglobato circa 6.000 dipendenti provenienti da Elpida ma l'azienda ha scelto di voler mantenere invariato il numero complessivo di dipendenti al numero precedente l'acquisizione di Micron. Da questo la scelta di operare riduzioni del personale di circa il 5% del totale, con una forte incidenza nelle sedi produttive italiane.
La critica che viene da più parti mossa è che dietro questa operazione vi sia la volontà dell'azienda di delocalizzare in altre regioni quella che è la produzione sviluppata nelle proprie filiali italiane, dopo che da queste ultime sono stati presi tecnologie e clienti: contro questo si schierano i dipendenti e le compagini sindacali. Nelle giornate di giovedì e venerdì della scorsa settimana i dipendenti hanno scioperato; un incontro presso il ministero dello Sviluppo Economico tenuto nella giornata di ieri non ha portato ad uno sblocco della situazione e un secondo tentativo di mediazione è previsto per il prossimo 21 Febbraio.
25 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoUna delle aziende piu' importanti in Abruzzo :-(
Se non fai sentire il tuo dissenso nessuno si accorge di te, a prescindere.
Molte aziende o chiudono o delocalizzano mentre il governo non riesce a fare una riforma che sia una per diminuire il carico fiscale su chi produce... sono sempre più convinto che la situazione dell'Italia si avvicina a quella della Grecia.
Molte aziende o chiudono o delocalizzano mentre il governo non riesce a fare una riforma che sia una per diminuire il carico fiscale su chi produce... sono sempre più convinto che la situazione dell'Italia si avvicina a quella della Grecia.
Scrivete come se il problema fosse solo italiano e non sistemico, magari vi è sfuggito che proprio in questi giorni la divisione server x86 di IBM e Motorola Mobility sono passate dalla mano statunitense a quella cinese...
Agli imprenditori poi del paese di turno non frega niente, interessa soltanto realizzare il massimo profitto, politica che di solito (giusto per usare un eufemismo) cozza con gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione, ma evidentemente qui dentro siete tutti imprenditori...
poveri noi ...
Sono un impiegato Micron di Catania, e stavolta voglio dire la mia.L'azienda ha inglobato non solo Numonyx ( joint venture fra i rami memorie di Intel/STMicroelectronics ), ma anche tutti i suoi brevetti,
provenienti dal duro lavoro degli inegneri specializzati ITALIANI.
Inoltre Numonyx aveva beneficiato ( stramite ST ) di incentivi europei, e in cambio si era impegnata a rimanere sul territorio nazionale.
L'acquisto da parte di Micron e' stata un'abile mossa,
ma ancora una volta la prendiamo in quel posto noi lavoratori ...
Il titolo MU ( Micron ) si e' QUADRUPLICATO nell'ultimo anno.
Ultimamente la politica e' "sembrata" interessata alla situazione.
Giorno 28 c.m. e' fissato l'incontro al MISE,
saranno presenti i rappresentanti delle regioni in cui Micron e' presente ( Lombardia, Campania, Abruzzo, Sicilia ),
le parti sociali e il presidente di Micron Italia ( relegato al ruolo di passacarte dalla direzione Americana di Boise ).
Dei miei colleghi stanno rinunciando a sposarsi, altri stanno cercando lavoro all'estero.
Chi rimane ( non toccato, per il momento, dalla procedura di mobilita' ), non sta di sicuro meglio degli altri,
in quanto e' palese la volonta' dell'azienda di abbandonare l'Italia.
Scusate lo sfogo !
GRAZIE Micron !
è vero
stessa cosa per realtà molto importanti del mondo TLC come NSN e ALU
se chiudono realtà come quelle di cui stiamo parlando se ne vanno i brevetti, il know how e soprattutto si perdono posti di lavoro per gente laureata e preparata
si parla tanto di investire nell'università ma se cedi in settori come questi i giovani cosa si laureano a fare? o vanno all'estero o rimangono qui a fare lavori per i quali il loro titolo di studio non serve a niente... (ammesso di trovarlo il lavoro)
stessa cosa per realtà molto importanti del mondo TLC come NSN e ALU
se chiudono realtà come quelle di cui stiamo parlando se ne vanno i brevetti, il know how e soprattutto si perdono posti di lavoro per gente laureata e preparata
si parla tanto di investire nell'università ma se cedi in settori come questi i giovani cosa si laureano a fare? o vanno all'estero o rimangono qui a fare lavori per i quali il loro titolo di studio non serve a niente... (ammesso di trovarlo il lavoro)
Hai toccato il ganglio vitale della questione: l'incapacità ( tutta italiana ) di mantenere e far fruttare le proprietà intellettuali sviluppate da noi.
Ciò dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, l'arretratezza della politica e dei sindacati nei confronti delle moderne necessità di sviluppo e lavoro.
Oltre a tutelare e promuovere la ricerca negli atenei ( e già qui ci si scontra con la supercasta dei professori ordinari che devono difendere il loro feudo con i loro vassalli e valvassori ), bisogna riuscire a favorire anche quella privata; ma un sistema fiscale oltremodo oneroso, una burocrazia asfissiante e iperinvasiva, un sistema paese ( telecomunicazioni, trasporti, giustizia e relazioni industriali ) arretrato sono trappole mortali.
D'altronde è dimostrato che nei settori industriali ad alto contenuto tecnologico ciò che si cerca è l'expertise e non l'abbattimento dei costi di R&D, manifattura e produzione... Quindi la delocalizzazione, a priori, non è una necessità. Ma lo diventa quando, a fronte di una ottima specializzazione e ricerca, ci si deve scontrare con una montagna di difficoltà strutturali e amministrative e con una politica miope e corporativa che comportano solamente oneri extra che si scontano sul bilancio.
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