Il cloud serve per innovare, non per risparmiare. Intervista con Simone Merlini di beSharp
di Riccardo Robecchi pubblicata il 16 Luglio 2021, alle 15:31 nel canale CloudAbbiamo intervistato Simone Merlini, cofondatore e CEO di beSharp, azienda italiana specialista di AWS che si occupa di offrire consulenza e strumenti di supporto a startup e aziende già consolidate nel loro percorso verso il cloud
Il mondo del cloud è complesso. Muoversi all'interno dell'offerta di un fornitore di servizi come AWS è spesso altrettanto complesso: non solo i servizi appaiono infiniti, ma c'è anche una certa differenza nel modo di approcciarsi ai problemi rispetto al mondo tradizionale. Aziende come beSharp hanno fatto la propria fortuna come consulenti esperti in grado di guidare altre aziende nel proprio percorso verso il cloud, rendendo così possibili innovazioni e cambiamenti. Ne abbiamo parlato con Simone Merlini, CEO e fondatore dell'azienda.
beSharp: dieci anni di evangelizzazione del cloud e di AWS
beSharp è stata tra le prime aziende italiane a credere nelle potenzialità del modello cloud e a investire su di esso, puntando sull'evangelizzazione di questo nuovo approccio e dei suoi benefici. Il risultato è che ora, a dieci anni di distanza dalla fondazione, è un'azienda solida e in continua crescita.
"beSharp nasce nel 2011 ed è stata tra le primissime aziende italiane a posizionarsi in maniera esclusiva nel settore del public cloud con un focus specifico su AWS", ci racconta Merlini. "Siamo tra i primi partner di AWS, ancor prima che esistesse in Italia, e siamo riconosciuti come gli specialisti italiani assoluti in ambito AWS. Offriamo servizi che vanno dalla migrazione al cloud alla modernizzazione delle applicazioni (anche web e mobile), sino allo sviluppo e progettazione di applicazioni cloud native. Aiutiamo le aziende anche nell’automazione, nell’ottimizzazione delle operation e dei costi. A oggi siamo in circa 40 persone e siamo in fortissima crescita: nell'ultimo anno abbiamo infatti assunto circa quindici persone nonostante la situazione."
I clienti di beSharp includono startup tecnologiche come Satispay e Translated, così come clienti nel mondo enterprise, fintech, moda, produzione industriale (con un'enfasi sull'industria 4.0), nonché system integrator e ISV. "Quello che accomuna i nostri clienti è l'innovazione, che può partire dal DNA stesso delle aziende oppure dal loro desiderio di trasformazione", ci dice Merlini.
Una delle difficoltà che abbiamo riscontrato nel nostro approccio ad AWS come giornalisti, però, è che AWS appare molto differente rispetto a piattaforme più tradizionali, il che richiede, pertanto, un certo tempo per apprendere come svolgere le varie operazioni. Ci siamo dunque domandati se anche Merlini abbia individuato questo scoglio tra quelli che le aziende clienti di beSharp devono affrontare. "No, non vediamo poi così tanto questa difficoltà. In fin dei conti è come imparare un nuovo linguaggio di programmazione: se sei un bravo programmatore in Python, puoi diventare bravo anche in Node.js in breve tempo. Queste specificità esistono, ma si superano facilmente e tra le aziende c'è comunque l'abitudine a rivolgersi a consulenti esperti."
Merlini ci racconta di come spesso il loro approccio non sia solo quello di risolvere i problemi per i clienti, ma anche (e forse soprattutto) di insegnare loro come risolverli da sé, facendo vera e propria formazione. Questo approccio, che potrebbe apparire come controproducente dato che toglie la possibilità di accedere a potenziali future commesse, si rivela in realtà vincente secondo Merlini, che afferma che spesso si viene a creare un circolo virtuoso in cui la formazione porta a una diffusione delle competenze e soprattutto della richiesta di queste. Alla fine, quindi, la maggiore richiesta porta a un aumento del giro d'affari.
"Il successo che abbiamo avuto non è dato dalla nostra conoscenza di ogni singolo dettaglio delle API di AWS, anche perché è un catalogo di servizi che evolve con una rapidità tale da essere molto difficile seguirlo, ma è dato dal fatto che siamo stati tra i primi a capire il modello cloud", afferma Merlini. "Bisogna usare il cloud come leva di innovazione e non invece come strumento per cercare di fare, magari risparmiando, le stesse cose che si facevano prima."
"Un errore per chi viene dal mondo tradizionale", continua Merlini, "è quello di ragionare per costi: si alloca un budget per arrivare a un certo livello di prestazioni, ma poi si cerca di tagliare tutto il possibile per contenere le voci di costo. Questo approccio sul cloud è fallimentare. Il ragionamento da fare è sull'opportunità: che cosa mi permette di fare il cloud di tanto rivoluzionario che il mondo tradizionale non mi permette di fare? Questo ragionamento dà una leva innovativa impareggiabile rispetto all'ottimizzazione dell'uso delle risorse, che va fatta eventualmente alla fine di un processo il cui obiettivo primario è quello di portare un cambiamento effettivo. Il nostro valore aggiunto si traduce nell'aiutare concretamente le aziende e i nostri clienti a capire e adottare efficacemente questo modello."
Un problema di approccio: il cloud come cambiamento
Tutto questo ci porta a parlare proprio dell'approccio che molti imprenditori e responsabili adottano quando si tratta di abbracciare l'innovazione: c'è spesso un certo grado di resistenza, che fa sì che le aziende italiane non accettino di buon grado le novità rischiando, quindi, di rimanere indietro. E non è solo un problema relativo al cloud, ma è più in generale legato alla forma mentis che molti adottano e che privilegia ciò che già c'è rispetto alla ricerca di novità potenzialmente in grado di dare risultati migliori.
"Sicuramente il mondo tecnologico italiano è caratterizzato da un certo conservatorismo, vuoi anche per ragioni storiche di accesso in ritardo a tecnologie importanti come la banda larga. Negli ultimi tre anni, tuttavia, abbiamo visto un netto cambio del mercato legato al fatto che il mondo del cloud, anche se non perfettamente compreso, viene dato per scontato anche da quelle realtà che sono un po' più in ritardo o un po' scettiche a riguardo. Le stesse, tuttavia, sanno che [il passaggio al cloud] avverrà per certo; si tratta solo di capire come e di trovare le giuste condizioni affinché avvenga. L'arrivo della Region italiana [di AWS] ha sicuramente contribuito ad accelerare questo processo. Con la pandemia, inoltre, molte aziende hanno investito tanto allentando magari le spese su altri fronti; la situazione attuale ha quindi contribuito a sbloccare il processo di trasformazione digitale, forse perché ci si è resi conto di quanto fossero fondamentali le infrastrutture per un cambio di modello di business."
Restano comunque molte le aziende che tendono a ragionare in maniera "classica", paragonando i costi del cloud a quelli delle infrastrutture tradizionali senza tenere, però, in conto tutte le differenze presenti tra questi due mondi.
"Uno dei servizi che ci è spesso richiesto è l'analisi del TCO, o costo totale di possesso. Su questo tema vedo due livelli di errore nell'approccio che viene spesso adottato dai clienti. Il primo è ragionare basandosi sui costi anziché sulle opportunità: se si usa il cloud non è per risparmiare il 5% rispetto al modello tradizionale, ma è perché ciò rende possibile un modello di business che altrimenti non si potrebbe nemmeno pensare di perseguire. Questo trascende qualunque analisi di costo tradizionale. Ma anche con migrazioni lift and shift, in cui è forse più sensato fare una comparazione dei costi, il secondo errore che vedo fare molto spesso è che mentre il costo del cloud è onnicomprensivo, [per l'approccio tradizionale] si tende a considerare solo il costo d'acquisto delle macchine e delle licenze ma aspetti fondamentali come i consumi, il valore associato ai downtime, il costo delle persone e così via non emergono. Se li si 'spacchetta', però, l'ago della bilancia si sposta."
Un elemento importante poi è la velocità d'azione: il cloud permette di avviare nuove macchine nel giro di pochi minuti e questo può essere un vantaggio competitivo difficile da valutare a livello monetario, ma che certamente il mondo tradizionale non offre. "Certo, il cloud non è la panacea per tutti i mali o la soluzione a ogni problema: è uno strumento e, come tutti gli strumenti, se usato nel modo giusto dà i risultati migliori", ricorda Merlini.
E questo è sempre vero indipendentemente dal settore e dalla tecnologia, per quanto spesso si tenda a dimenticarlo. Il cloud non può risolvere tutti i problemi ed è importante ricordare che in medio stat virtus, dunque l'approccio migliore resta quello di considerare le situazioni nel complesso e di valutare caso per caso cosa sia meglio adottare.
Abbiamo chiesto a Merlini quale tecnologia potrebbe avere il più forte impatto sulle nostre vite in futuro. La sua risposta è stata duplice: da un lato, più nell'immediato, c'è l'IA; dall'altro, più a lungo termine, i computer quantistici. "Secondo me il calcolo quantistico ha le potenzialità per rompere ogni schema, nel bene e nel male. Da un punto di vista implementativo siamo solo ai primordi, ma è un settore su cui come beSharp stiamo provando a scommettere. È un tema non semplicissimo da digerire, ma ci piacciono le cose difficili." E, come spesso avviene, è proprio questo genere di scommessa sul futuro che porta poi a ottimi risultati: beSharp e Merlini l'hanno già dimostrato scommettendo, dieci anni fa, sul cloud. Chissà che tale successo non si ripeta anche con i computer quantistici.
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