I segreti del MIX, il principale Internet Exchange Point italiano, raccontati dal suo fondatore Joy Marino
di Alberto Falchi pubblicata il 01 Aprile 2021, alle 10:01 nel canale InnovazioneIl traffico che può essere veicolato si sta avvicinando ai 10 Terabit per secondo. 20 anni fa, quando è nato, poteva muovere meno dati di quanti ne girano su una rete semplice rete wi-fi casalinga
MIX è il principale Internet Exchange Point (IXP) italiano, la principale infrastruttura di interconnessione in Italia. MIX non eroga direttamente servizi Internet, ma ha un ruolo differente, cioè quello di interconnettere operatori e aziende che potranno scambiare traffico su switch interconnessi, sicuri e ad alte prestazioni. La definizione specifica, così come appare sul sito del MIX, spiega che si tratta di “un'infrastruttura di rete che consente l’interconnessione tra più di due Autonomous System indipendenti, principalmente allo scopo di facilitare lo scambio di traffico Internet”.
È l'unico IXP in Italia dotato di un suo data center, dove i clienti possono installare i loro switch. Offre servizi di peering, utili per connettere le aziende direttamente ai data center (anche se non sono ospitati da MIX), oltre che servizi per i principali carrier italiani, fra cui Aruba, Fastweb, Eolo, TIM, Tiscali, Vodafone e WINDTRE.
Il fondatore del MIX è Joy Marino, visionario che lo ha fondato nel 1996 a Milano, nel campus tecnologico di via Caldera che ancora oggi continua a ospitarlo. La rete di peering di MIX è costituita da 8 PoP di accesso e da apparati di peering all’interno dei datacenter di importanti player internazionali. Ogni PoP è totalmente ridondato e collegato in anello verso il PoP di core situato nel DC MIX all’interno del Campus Tecnologico di via Caldera a Milano.
Intervista a Joy Marino, il papà del MIX
Edge9: 20 anni di storia rappresentano un po' tutto il percorso di Internet in Italia. Come si è evoluta la rete in questi anni e come è cambiato il ruolo del MIX?
Joy Marino: Sono in questa industria da quasi 30 anni e bisogna dire che ho visto cambiamenti, anche epocali, succedersi (in media) con cadenza di 5 anni. È davvero difficile dire in due parole come sia cambiata la Rete nell’arco di tutti questi anni. C’è da stupirsi che continuiamo a chiamarla “Internet” e che i “protocolli”, i software che fanno muovere i bit, siano ancora gli stessi di tanti anni fa. Tutto il resto è cambiato: i player, i modelli di business più efficaci, per non parlare delle diverse metriche della Rete, dal numero di persone o imprese interconnesse, alla velocità di comunicazione, al numero e potenza dei componenti di calcolo che lavorano interconnessi. Io sono della generazione che per prima ha creduto al “vangelo di Gordon Moore” e quindi è stata in grado di accettare e metabolizzare tutte le crescite esponenziali, tutti i fattori di scala a salire che ci siamo bevuti in 40 anni di industria dell’ICT.
Quello che è più difficile da assimilare, per chi è nato a metà del secolo scorso, è il cambio di paradigma in atto, dove l’uomo non è più al centro della Rete, ma sempre più spesso ci viene detto chiaramente che le cose funzionano meglio se ci facciamo da parte e lasciamo fare direttamente le “macchine”, più veloci, meno soggette a errori, più pronte a rispondere degli esseri biologici.
Lasciamo da parte gli scenari alla “Skynet” e torniamo alla realtà di tutti i giorni… In questa crescita vertiginosa, MIX è stato un punto di riferimento costante, che ha seguito fedelmente la missione per cui era nato. Gli stessi protocolli, non cambiati, che sono alla base di Internet sono correlati con la sua missione, immutata: rendere la Rete più strettamente interconnessa, accorciare la distanza virtuale tra parti della Rete che siano fisicamente continue. Molto semplice, e molto efficace, se seguita coscienziosamente.
Ça va sans dire che tutto il resto è cambiato: i soggetti che hanno bisogno di un IXP per parlarsi meglio tra loro non sono più gli “Internet Service Providers” (ISP) di 20 anni fa, il bestiario della zoologia di Internet si è arricchito di innumerevoli specie, alcune di dimensioni gigantesche, altre dall’anatomia totalmente inusuale, molte, moltissime dotate di una specializzazione nella loro fisiologia informatica che non poteva essere immaginata tanti anni fa. Ma il paradigma del “Punto dove scambiare traffico in modo economico ed efficiente” è rimasto immutato al cambiare degli attori. Così come l’immagine dell’oasi, dove tutti, bestie e umani, vanno ad abbeverarsi è valida per ere geologiche diverse, oppure come la metafora della piazza del mercato, dove venditori e compratori si incontrano, rimane valida per periodi storici che vanno dal Neolitico fino all’età contemporanea.
Sono cambiati i fattori di scala: 20 anni fa MIX muoveva un traffico inferiore a quello che viaggia nel WiFi di casa mia, e tutti gli apparati erano contenuti in un unico rack. Oggi i POP di MIX sono tutti i maggiori (“open”) Data Center della Lombardia e oltre, e il traffico che può essere veicolato si sta avvicinando ai 10 Terabit per secondo.
Ma il suo ruolo è rimasto sostanzialmente invariato; cambiano i soggetti, cambia la visibilità (specie in tempi di pandemia), cambia l’importanza e la criticità (specie in tempi di pandemia), ma di un punto – neutrale – dove scambiare traffico c’è sempre più bisogno.
Edge9: La pandemia e il conseguente ricorso allo smart working hanno incrementato significativamente l’utilizzo della rete in Italia: che impatto ha avuto questo sul MIX? È stato necessario potenziare le infrastrutture per garantire le stesse prestazioni?
JM: Le prime settimane della pandemia sono state, dall’osservatorio del MIX, degne di meraviglia. Nessuna sorpresa vera e propria, ma un conto è andare in giro a fare professione di paladini della “resilienza” delle reti, a raccontare che tutti i soggetti interconnessi a MIX dovrebbero avere connessioni con velocità sovrabbondanti rispetto alle mere esigenze del day-by-day, a propugnare la realizzazione tra i soggetti di accordi di peering anche quando il traffico non è, normalmente, particolarmente intenso (o continuativamente importante); un altro è toccare con mano che cosa succede quando un cambiamento repentino di tutte le metriche di uso di Internet in Italia fa raddoppiare, dalla sera alla mattina, i flussi di bit che passano attraverso MIX, come è accaduto all’inizio del lockdown di un anno fa.
Quando parlo di “tutte le metriche” mi riferisco davvero a tutte le dimensioni che caratterizzano Internet: il volume del traffico, in primis, ma anche gli orari di maggior utilizzo (dal picco serale del “prime time” all’uso continuativo mattina, pomeriggio e sera dello smart working e della DAD), e perfino della direzione dei flussi del traffico (per università e centri di ricerca ma anche per alcune grandi aziende, prima la direzione di maggior traffico era da big Internet verso l’interno, con la pandemia è diventata quella dall’interno verso gli utenti, lavoratori o studenti, confinati nelle case).
La maggior parte dei nostri clienti aveva già porte di interconnessione dimensionate per i picchi di traffico, se non addirittura sovradimensionate in vista di maggiore crescita organica. Per qualcuno è stato necessario anticipare i tempi degli upgrade che erano stati ipotizzati o già pianificati; in questo frangente è stato ammirevole lo staff tecnico di MIX, che ha provveduto ad aggiungere porte e duplicare trunk in fibra ottica, di concerto con i tecnici degli operatori clienti, fin dalle prime settimane di lockdown.
Non ci siamo limitati a questo: abbiamo dato la possibilità a tutti di fare upgrade di velocità o di numero di porte accese a condizioni più vantaggiose che mai. Si è trattato di una politica che davvero corrisponde a una situazione “win-win” ideale: per il singolo operatore ha rappresentato la possibilità di alleviare l’impatto di eventuali colli di bottiglia nei collegamenti verso la big Internet, mentre l’upgrade di banda da parte di molteplici operatori con i quali si scambia traffico (i “peers” nel gergo) moltiplica l’effetto positivo per tutti. E il fine del MIX stesso, il cui scopo principale non è il profitto quanto il buon funzionamento dell’Internet italiana, può offrire a tutti un servizio sempre migliore a un costo per unità di traffico scambiato sempre inferiore; adesso lo stiamo facendo ancora più intensamente di quanto abbiamo fatto nell’arco di questi vent’anni.
Edge9: L'adozione del cloud da parte delle aziende di ogni dimensione sta trasformando l'utilizzo della rete: come sta affrontando questo cambiamento il MIX dal punto di vista dell’infrastruttura? Cosa ci dobbiamo aspettare nei prossimi 3/5 anni?
JM: Che cosa significa “Cloud” dal nostro punto di vista di “idraulici della Rete”? Significa che cambiano le tipologie dei soggetti che hanno bisogno di interscambiare traffico e cambiano le sedi fisiche dove risiedono i dati oggetto di questo interscambio, ma i modi con cui avviene sono, se possibile, ancora più orientati a seguire il paradigma dell’“open Internet Exchange”. Mi spiego meglio: prima c’erano ISP che veicolavano il traffico dei loro clienti da e verso Internet; l’interscambio presso un IXP (MIX) valeva come ottimizzazione nel caso in cui si trattasse di attività dovute ai rapporti tra i clienti di due di questi ISP. Con la differenziazione dei ruoli, i flussi di traffico hanno dapprima riguardato l’accesso a grandi soggetti detentori di contenuti da parte dei clienti dei vari ISP; poi l’interazione con le grandi piattaforme di servizi on-line da parte degli utenti finali; ora, con il Cloud, il numero di soggetti che offrono servizi della “società dell’informazione” a una platea più o meno ampia di fruitori si è allargato enormemente, e le sedi dove questi servizi risiedono non sono più solo all’interno delle singole aziende ma, soprattutto presso grandi Data Center, per i quali l’interconnessione con un IXP è fin da subito riconosciuta con un valore di per sé. Ecco perché MIX deve essere presente con i suoi punti di presenza là dove operano i fornitori di Cloud, siano essi infrastrutturali o di servizi.
Edge9: Sempre più imprese affidano dati e applicazioni al cloud, ma l'impressione è che in alcuni casi ci sia ancora confusione su quali siano le responsabilità di chi eroga i servizi e quelle di chi li utilizza: che tipo di politiche adotta il MIX per i SLA con i suoi clienti?
JM: Prima di tutto non vorrei contribuire anche io alla confusione: MIX non eroga servizi Cloud, né adotta particolari condizioni a clienti che operano come fornitori di servizi Cloud. Come idraulici della Rete, noi cerchiamo di aiutare tutti i flussi a scorrere quanto meglio possibile, non ci preoccupiamo di che colore sia l’acqua!
Il rapporto con i nostri afferenti non prevede, al momento, clausole opzionali che richiedano particolari SLA. Abbiamo, sì, alcuni impegni sui tempi di provisioning per prima installazione e upgrade, ma nulla che riguardi contrattualmente la funzionalità del nostro servizio primario, il “peering”. Potrei dire che il servizio è offerto su base “Best Effort”, come è in genere la norma per gli IXP; in realtà il nostro effort è portato al massimo livello, e i nostri clienti conoscono e apprezzano l’affidabilità di MIX e i record di continuità di servizio che abbiamo raggiunto. Provo a spiegarmi meglio. Il servizio di MIX può essere definito come “servizio che abilita operatori a scambiare traffico Internet su base bilaterale” e uno dei prerequisiti che ogni nostro afferente deve rispettare è di avere un suo collegamento, indipendente dal peering presso MIX, attraverso cui è in grado di raggiungere qualsiasi destinazione in Internet. Il servizio fornito da un IXP, quindi, va inteso come un miglioramento, una “scorciatoia” per rendere più veloce, efficiente ed economico lo scambio di traffico su base bilaterale, ma, in caso di interruzioni di servizio vuoi dell’operatore con cui si fa peering, vuoi dell’infrastruttura ospitante (l’IXP), la raggiungibilità di qualsiasi destinazione in Internet è garantita attraverso la via canonica, questa sì, molto probabilmente, caratterizzata da SLA.
All'atto pratico, però, quasi tutti gli operatori contano sulla continuità di servizio di MIX, e quindi dimensionano le loro altre connessioni sulla base di quanto traffico possono normalmente veicolare attraverso i peering presso MIX. Perciò, in caso di malfunzionamenti qualche collo di bottiglia si verifica e la Rete finisce in ginocchio, anche se non c’è una vera e propria interruzione.
Ricordo un paio di occasioni in cui questo si verificò. La prima volta, circa 15 anni fa, finimmo in un occhiello in prima pagina de Il Sole 24 Ore (a onor del vero quella volta ci fu un blackout che toccò tutti i Data Center nel comprensorio di Caldera a Milano, e solo indirettamente fummo coinvolti come MIX). L’ultima volta ci fu un blackout dell’energia elettrica in buona parte dell’Italia settentrionale e, dopo qualche ora, anche i generatori di emergenza di MIX smisero di funzionare, ma nel frattempo la maggior parte dell’utenza Internet italiana era già da tempo totalmente scollegata a causa del blackout…
0 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoDevi effettuare il login per poter commentare
Se non sei ancora registrato, puoi farlo attraverso questo form.
Se sei già registrato e loggato nel sito, puoi inserire il tuo commento.
Si tenga presente quanto letto nel regolamento, nel rispetto del "quieto vivere".