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Dalle macchine virtuali agli ambienti multi-cloud basati su container: la visione di Red Hat

di , Vittorio Manti pubblicata il , alle 12:41 nel canale Cloud Dalle macchine virtuali agli ambienti multi-cloud basati su container: la visione di Red Hat

Man mano che le aziende passano al cloud, diventa sempre più forte l'esigenza di adattare le vecchie applicazioni alle nuove architetture basate su container. Abbiamo approfondito l'argomento insieme a Giuseppe Bonocore di Red Hat

 

Abbiamo avuto la possibilità di incontrare Giuseppe Bonocore, Senior Solution Architect di Red Hat, col quale abbiamo fatto una chiacchierata relativa a tecnologie come cloud, multi-cloud, virtualizzazione e container, così da capire come si sta evolvendo il settore e come Red Hat sta affrontando questo cambiamento.

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Una chiacchierata con Giuseppe Bonocore di Red Hat

Edge9: Ci sono vari trend che si stanno intersecando nel settore del cloud, mentre il tema dei container sta diventando sempre più importante. Qual è la visione di Red Hat su questa evoluzione?

Bonocore: Il cloud sta subendo un momento di riflessione. Rimane nelle agende di tutti, ma non è più visto come la soluzione che può risolvere tutti i problemi. Si usa il cloud, lo si considera motore di innovazione, ma non basta quello: bisogna appoggiarsi a più architetture cloud, per questioni di resilienza, e allo stesso tempo anche tenere parte dei dati in casa, per esempio per rispettare le normative. Il cloud oggi in azienda sta diventando una scelta più consapevole: non si sposa un cloud provider ma si sceglie di volta in volta quello più adatto, a seconda del progetto.

Edge9: La piattaforma di Red Hat può aiutare il cliente a renderlo libero di spostarsi con facilità da un cloud all’altro?

Bonocore: Storicamente le soluzioni Red Hat mettono al primo posto gli standard e sono pensate per evitare il lock-in. Nel mondo del cloud abbiamo riproposto questo modello. Nel momento in cui si vanno a sviluppare applicazioni che fanno pesante uso dei meccanismi proprio di ogni cloud, non essendoci degli standard, il rischio è che uscire da questo cloud costi parecchio. Un altro problema è quello di prevedere i costi delle piattaforme. Sotto questo profilo i container vengono incontro, offrendo standard su come pacchettizzare e far parlare le applicazioni fra loro. In Red Hat abbiamo sposato la filosofia Kubernetes e con la nostra soluzione OpenShift il nostro mantra è any application on any infrastructure. Se c’è un’architettura che può far girare Linux – che rimane il motore portante – noi possiamo installare facilmente i nostri container e spostare con facilità app o carichi di lavori da una parte all’altra.

Edge9: Ho recentemente intervistato un dirigente di IBM, che mi ha detto due cose a mio avviso importanti. Mi spiegava che da un lato le aziende iniziano a fare progetti cloud anche per le applicazioni core, quelle su cui si basa il business. Dall’altro lato, ci si rende conto che il ruolo di IBM sarà quello di collante fra le varie soluzioni cloud. Come si posiziona Red Hat in questo contesto?

Bonocore: Il cloud usato anche per servizi core impone di stare molto più attenti, per evitare di rischiare il lock-in su una singola tecnologia. Per quando riguarda la relazione con IBM, l’azienda è presente da molti anni su certi mercati, come quello bancario, e quindi ha maturato una grande conoscenza del settore e c’è un rapporto di grande fiducia coi clienti. Io credo che l’accoppiata IBM Red Hat possa fornire quello sprint innovativo che le aziende ricercano. IBM parla spesso di cloud journey, il percorso di adozione del cloud, e io credo che il tema principale sia questo. Non tutte le aziende sono startup e credo che anche le realtà più strutturate debbano iniziare un percorso di trasformazione digitale, per usare un termine oggi inflazionato.

Edge9: Un manager mi ha detto che qualche anno fa è stato necessario fare un percorso di evangelizzazione su certe tecnologie per i manager non IT, così da fargli capire il valore delle virtual machine e il loro impatto sul business.  Oggi, se parli sviluppo, la VM sembra già un concetto vecchio. Il punto di riferimento diventa sempre più il container. Quanto questa evoluzione porterà la VM a diventare una commodity. Sparirà il concetto di VM?

Bonocore: La containerizzazione ha portato a un’evoluzione del concetto di virtualizzazione. Prima si virtualizzava l’intero stack, mentre oggi i container permettono un grado maggiore di granularità e si va a virtualizzare la singola applicazione. Quello che stiamo vedendo è che sempre di più ci sono approcci basati su bare metal.  Oggi gli sviluppatori si preoccupano esclusivamente di realizzare applicazioni containerizzate. Che sia installato hardware virtuale, fisico o sul cloud provider è un dettaglio. Questo approccio ha degli aspetti interessanti dal punto di vista del business, dato che è possibile semplificare l’infrastruttura. Oggi si può avere una piattaforma di orchestrazione che gira su varie implementazioni e concentrarmi solo sullìapplicativo. Questo ha dei ritorni interessanti dal punto di vista economico; dato che si maneggiano oggetti più elementari rispetto alle macchine virtuali, i costi scendono.

Edge9: Per un’azienda che ha già investito molto in VM è possibile migrare verso un’architettura a container?

Bonocore: Questo rappresenta la sfida di questi tempi. Red Hat ha una sua offerta di consulenza, che si occupa di fare un’analisi fra cosa ho in casa e come dovrei cambiarlo per fruire fino in fondo delle potenzialità del cloud. Io credo che questa sia la sfida reale. Se ho applicazioni scritte anni fa, non più al passo coi tempi, e le virtualizzo senza modificarle, avrò vantaggi modesti.  I benefici maggiori si hanno quando si va a ritoccare l’applicazione, facendole sfruttare tutti i vantaggi di un approccio cloud native.

Edge9: Dal punto di vista delle persone, chi ha sempre sviluppato con un particolare approccio riesce a passare a un paradigma diverso, ad adeguarsi?

Bonocore: Questo è un tema focale e ci sono due aspetti da valutare. Il primo è che spesso ci possono essere slanci innovativi, che vanno a sbattere contro elementi organizzativi. È il caso di sviluppatori che vorrebbero implementare microservizi, cloud, architetture serverless e non sono supportati dalle operation. O, viceversa, i reparti operation che si appoggiano su piattaforme a container ma ci mettono sopra applicazioni vecchie. Al di là delle competenze, insomma, è fondamentale il discorso organizzativo. Le aziende devono mettere i tecnici in condizione di formarsi (cosa che i tecnici fanno molto volentieri), ma poi devono creare le condizioni, dal punto di vista organizzativo, per farli lavorare. Il salto alla fine è più mentale.

L’altro aspetto da considerare è che le aziende stanno imparando a sviluppare all'interno le competenze, evitando le soluzioni pacchettizzate e mirando a soluzioni personalizzate, che abilitano servizi innovativi e che migliorano la user experience degli utenti, che oggi fa la differenza.

 

 

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