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Il cloud ibrido è il più usato, ma complica l'accesso ai dati. L'indagine di Denodo

di pubblicata il , alle 14:01 nel canale Cloud Il cloud ibrido è il più usato, ma complica l'accesso ai dati. L'indagine di Denodo

Secondo il rapporto di Denovo, l'adozione del cloud ibrido è più una necessità che una scelta, a causa dell'esigenza di adeguarsi alle varie normative. Ma il modello "sulla nuvola" piace e permette di abbattere i costi

 

Il cloud? Ormai imprescindibile per le aziende, che apprezzano la possibilità di scalare velocemente l'utilizzo di risorse quando necessario e la riduzione dei costi che comporta questa tecnologia. Secondo una ricerca condotta da Denodo, più della metà del campione afferma anche di essere piuttosto competente, e saper usare questa tecnologia a livello intermedio o avanzato, ma non mancano alcune difficoltà.

L'approccio al cloud più diffuso è quello ibrido

La ricerca di Denodo sull'uso del cloud è basata su interviste condotte a stakeholder di 150 aziende operanti in Nord America, EMEA e APAC. Si tratta della sesta edizione di questo report e l'aspetto più interessante che emerge dall'ultimo rapporto è che è incrementato in maniera significativa il divario fra cloud ibrido e privato.

denodo cloud

Solo il 20% del campione infatti si appoggia al cloud pubblico, contro il 37,5% che invece ha adottato un modello ibrido, quindi mantenendo parte dei dati anche sui data center aziendali. Una necessità, più che un scelta, sottolinea l'analisi, dato che per rispettare le normative molte aziende si trovano "costrette" a mantenere le informazioni sensibili su sistemi di cui hanno il pieno controllo. 

Il cloud piace, ma le complessità non vanno sottovalutate

Per quanto appoggiarsi alla nuvola permetta di accelerare l'innovazione e contenere i costi, per il 79% degli intervistati da Denodo non mancano alcune difficoltà. Prima fra tutte la complessità di integrazione e l'accessibilità dei dati archiviati in formati diversi. Al secondo posto, invece, va sottolineata la mancanza di competenze analitiche e di risorse per trasformare questi dati in insight. Altre problematiche sono relative alla difficoltà di trovare casi d'uso per giustificare gli investimenti e la scarsa collaborazione fra i reparti nel condividere le informazioni. 

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Un problema sentito anche dai data scientist, che in molti casi lamentano di dover trascorrere più tempo a trovare, rendere accessibili e preparare i dati piuttosto che ad analizzarli. 

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Non è un caso insomma se nel 2021 il 31% dei professionisti IT dichiara di essersi concentrato maggiormente sul ricevere l’adeguata formazione per far fare un salto di livello al cloud della propria azienda.

“Gli utenti continuano a esprimere la necessità di avere a disposizione dati in tempo reale, dunque non ci sorprende che la disponibilità, includendo anche l’integrazione, la gestione e l’analisi dei dati in cloud, non sia soltanto un elemento gradito ma un bisogno essenziale per diventare davvero un’azienda data-driven", spiega Ravi Shankar, Senior Vice President e Chief Marketing Officer di Denodo. “Questo avviene in ogni tipo di configurazione, ma la verità è che la maggior parte delle organizzazioni non riesce a trovare, accedere e analizzare la metà o più dei suoi dati dopo aver adottato tecnologie cloud. Potrebbe essere questo il motivo per il quale la stragrande maggioranza delle organizzazioni (93%) ha dichiarato che utilizza già, sta valutando o considerando di sfruttare maggiormente l’integrazione, la gestione e l’analisi dei dati basate su cloud, includendo anche tecnologie potenti come la virtualizzazione dei dati o il logical data fabric, in modo tale da fornire un accesso senza interruzioni e in tempo reale ai sistemi sia in cloud che on-premise”.

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