Network as a Service: perché anche la rete dovrebbe essere esternalizzata? Ne parliamo con HPE Aruba
di Alberto Falchi pubblicata il 14 Febbraio 2022, alle 14:01 nel canale CloudI tempi sono maturi per il passaggio all'approccio NaaS, nel quale i servizi di rete sono esternalizzati. Un vantaggio per la scalabilità e la riduzione dei costi di capitale ma per trarne beneficio è necessario un certo livello di maturità aziendale
Recentemente su Edge9 abbiamo parlato del concetto di Network as a Service (NaaS), un approccio sul quale sta puntando molto HPE Aruba. Nonostante gli addetti ai lavori del settore dichiarino di conoscere questa tecnologia, un’indagine dell’azienda ha evidenziato come ci sia ancora molta confusione sul NaaS e su come la sua adozione possa portare benefici di business. Abbiamo approfondito il tema insieme ad alcuni esponenti dell’azienda, fra cui Fabio Tognon, Country Manager della divisione HPE Aruba in Italia, Markus Mayrl, Portfolio Marketing Manager EMEA di HPE Aruba e Morten Illum, VP EMEA dell’azienda.
Network as a Service in due parole
Ci sono varie definizioni di NaaS, tutte molto simili anche se differiscono per qualche sfumatura. Nella visione di HPE Aruba, si può parlare di Network as a Service quando più della metà della gestione dell’implementazione della rete, le relative operation e la gestione del ciclo di vita sono affidate a terzi, esterni al reparto IT interno. Secondo il Country Manager di HPE Aruba, Fabio Tognon, l’azienda per cui lavora è un passo avanti alla concorrenza: “HPE Aruba ha elaborato un modello che è nato all’interno del data center, con l’obiettivo di rendere disponibile l’infrastruttura di rete in maniera semplice”, ci spiega il manager, sottolineando come mentre altri operatori si limitano a offrire un servizio di gestione per la parte SD-WAN, loro sono andati oltre, offrendo ulteriori servizi gestiti e impostando degli specifici Service Level Agreement (SLA). “Molti confondono il NaaS con la semplificazione – prosegue Tognon – ma noi siamo al passaggio successivo, con ulteriori servizi erogati. Servizi che non necessariamente sono gestiti direttamente da HPE Aruba: a fornirli possono essere i partner, come gli MSP”.
Partner che giocano un ruolo chiave nell’economia della multinazionale: è grazie a loro che è possibile accompagnare i clienti verso un cammino che li porterà ad adottare il NAAS. “Molti partner si stanno spostando da reseller di tecnologia a reseller di servizio, fatto che li avvicina al cliente”. Appoggiandosi a questa tipologia di partner, insomma, è più semplice poi guidarlo nella direzione del NaaS ma attenzione: come sottolinea Tognon, “è un approccio che può trovare più facile innesto da parte di aziende con un certo livello di maturità rispetto ai modelli ibridi di operations”. Niente PMI quindi? Non proprio: “Non escludiamo a priori anche ospedali e Pubblica Amministrazione perché di fatto chi gestisce i servizi legati al Network as a Service non accede ai dati, ma a come questi si muovono. Relativamente ad altri settori, come il settore bancario, la situazione è più complessa, e non solo per le questioni di conformità normativa: molte realtà si appoggiano ancora a infrastrutture legacy (come i mainframe) e modelli di operations non ancora predisposti al NaaS”.
Viene spontaneo chiedersi quali siano gli interlocutori con cui HPE Aruba si interfaccia quando propone queste soluzioni in azienda: il rischio, infatti, è che i responsabili IT possano sentirsi minacciati da un simile approccio, che fondamentalmente riduce il loro campo di azione. Sotto questo profilo, Tognon spiega che cercano di non portare ai propri clienti idee troppo dirompenti, ed è per questo che preferiscono accompagnarli lungo un percorso di evoluzione piuttosto che rivoluzionare l’infrastruttura da subito. Fondamentalmente, cercano di risolvere i problemi immediati: “se in azienda c’è la necessità di ridurre il CapEx, pariamo col CFO. Se invece è l’IT manager ad avere problemi e a faticare a stare dietro a tutte le incombenze, allora proponiamo la tecnologia Clearpass. Abbiamo un portafoglio di soluzioni molto ampio per andare incontro alle loro necessità”.
I freni all’adozione del NaaS
Uno dei principali timori per l’adozione nel NaaS è quello del vendor lock-in: delegare un aspetto tanto importante quanto la gestione dell’infrastruttura di rete spaventa la metà degli intervistati di un report realizzato da HPE Aruba sul NaaS. Una paura comprensibile, come sottolinea Markus Mayrl, Portfolio Marketing Manager EMEA di HPE Aruba: “Devi avere molta fiducia nel tuo fornitore per affidargli questo servizio. Ma in HPE Aruba non vogliamo avere ostaggi”. Le soluzioni di Network as a Service dell’azienda sono infatti basate su API aperte, così da semplificare la connessione con altri vendor, nel caso si decidesse di migrare i servizi. Non solo: un cliente potrebbe anche decidere di affidarsi a più partner, delegando a differenti vendor varie parti dell’infrastruttura di rete.
Altri timori, invece, sono legati alla conformità, alla necessità di aggiornare il personale interno, al tempo di migrazione e, inevitabilmente, al budget. Perché è vero che adottando un modello as-a-Service si abbattono gli investimenti iniziali in hardware, ma poi bisogna mettere in conto un aumento delle spese operative. Più che di una mancanza di soldi, insomma, il problema è quello di far coincidere questa evoluzione coi cicli di investimento aziendali. Non stupisce quindi che la pandemia sia stata per certi versi un driver verso l’adozione di questa tecnologia: da un lato le imprese hanno dovuto accelerare gli investimenti sull’infrastruttura, anche per garantire la possibilità di lavorare da remoto, dall’altro è nata l’esigenza di poter delegare a terzi la gestione dell’infrastruttura per semplificare il ricorso allo smart working.
Secondo Mayrl, nei prossimi mesi circa un quinto delle aziende avrà adottato qualche forma di NaaS, una percentuale destinata a crescere ulteriormente in 24 mesi. “Il mercato sta crescendo”, spiega, “ma è necessario fare un percorso. Nei prossimi mesi presenteremo nuove opzioni per scalare con flessibilità verso l’alto o verso il basso quando necessario”. A chi può servire scalare frequentemente verso il basso l’infrastruttura? Un esempio sono gli alberghi, che possono rimodulare il servizio sulla base dei clienti presenti in un certo periodo.
La visione del vicepresidente EMEA Morten Illum
Abbiamo avuto modo di porre alcune domande al vicepresidente EMEA di HPE Aruba, Morten Illum, a partire dall’impatto dell’everywhere workplace, la possibilità di lavorare ovunque ci si trovi, sulla diffusione delle soluzioni NaaS. “Il ricorso a formule di lavoro ibrido accelererà l’adozione del NaaS, dato che una delle principali necessità delle imprese è quella di garantire maggiore flessibilità”, spiega Illum. “Il lavoro flessibile ha generato nuovi trend per l’IT: il numero dei dispositivi IoT è cresciuto, si sono diversificati gli endpoint della rete e le esigenze di connettività sono cresciute di pari passo con la frammentazione dei luoghi di lavoro. I team IT devono assicurarsi che il network aziendale sia affidabile, sicuro, in grado di scalare e conforme alle normative se desiderano soddisfare le nuove necessità. Il NaaS è in grado di rispondere a queste esigenze”.
Ma come cambierà il ruolo dei team IT? Si ridurranno o dovranno sviluppare nuove competenze? “La nostra ricerca evidenzia che più che ridurre i team IT o rimpiazzarli, le aziende stanno guardando al NaaS come un modo per riposizionare queste figure, la cui professionalità può essere rediretta verso altre attività a valore aggiunto. Il 64% del campione preso in esame vede il NaaS come un potenziale modo per ripensare a come gestire le proprie attività, mentre un 57% crede che adottandolo sarà possibile dedicare più tempo del team IT a iniziative strategiche. Allo stesso tempo, è interessante notare come meno della metà degli intervistati (48%) veda il NaaS come un’opportunità per ridurre il personale IT, fatto che evidenzia come le imprese intendano sfruttare le competenze per altre attività IT strategiche. Il mondo del business è attratto dal NaaS per la sua flessibilità, sia relativamente alla rate, sia per il tempo a disposizione dei team IT”.
Rimane un nodo da scogliere, cioè l’impatto del modello NaaS sulla sicurezza informatica. “La sicurezza è ai primi posti fra le priorità di business, e uno dei principali driver degli investimenti sul network, secondo la nostra ricerca: il 65% delle aziende crede che il NaaS possa aiutarle a migliorare la cybersecurity. Adottare il NaaS permette ai team di sicurezza informatica di evitare l’utilizzo di strumenti di gestione della rete e di appoggiarsi ad hardware ormai datato. Basta infatti un singolo pannello di controllo per gestire l’intera rete (Wi-Fi, switch, WAN), assicurandosi che tutti i dispositivi siano aggiornati con i firmware più recente. Il NaaS inoltre permette a un singolo provider di offrire sia servizi di rete sia quelli di sicurezza, come i firewall. Questo permette di garantire una migliore integrazione fra la rete e gli strumenti di sicurezza”.
2 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoSolo un consulente colluso potrebbe consigliare ad una PMI di noleggiare le apparecchiature di rete invece di acquistarle. Penso che qualsiasi PMI si ripaghi l'investimento nell'infrastruttura di rete in pochi mesi altrimenti è meglio che si faccia qualche domanda sulla solidità dell'azienda.
Per le grandi aziende, invece, che hanno un IT dedicato che senso avrebbe andare a pagare altre persone per fare lo stesso lavoro di quelle che hai già assunto per fare la stessa cosa? Solo per poter scaricare la colpa?!
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