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Il problema della sostenibilità: cosa si può (e deve) fare? Ne parliamo con Xerox

di pubblicata il , alle 11:01 nel canale Innovazione Il problema della sostenibilità: cosa si può (e deve) fare? Ne parliamo con Xerox

Il problema della sostenibilità è da anni al centro dei dibattiti, ma i pogressi fatti in questo ambito sono ancora relativamente pochi. Abbiamo parlato con Xerox di come l'azienda l'abbia affrontato e di come la sostenibilità sia un'opportunità

 

Il tema della sostenibilità è diventato ormai oggetto di discussione quotidiana. Con gli effetti drammatici dei cambiamenti climatici che sono ormai sotto gli occhi di tutti, tra ondate di caldo senza precedenti e fiumi in secca, è chiaro che sia necessario agire in fretta per cercare di arginare questi problemi. Ne abbiamo parlato in una tavola rotonda per la stampa organizzata da Xerox e da Magnetic Media Network proprio per discutere di sostenibilità, in particolare quando applicata all'ambito della stampa, principale mercato in cui opera Xerox.

La sostenibilità come necessità, ma anche come vantaggio

È da ormai diverso tempo che da più parti si afferma che rendere le attività aziendali sostenibili sia non solo auspicabile da un punto di vista etico, ma anche da un punto di vista economico, perché le soluzioni sostenibili sono spesso competitive con quelle tradizionali perché vanno a ridurre gli sprechi e, dunque, i costi.

Xerox è impegnata da tempo su questo fronte, ad esempio usando circa un terzo di plastica riciclata all'interno dei suoi prodotti, ma si trova a fare i conti con una realtà in mutamento che vede sempre meno l'uso della stampa e della copia all'interno delle aziende. Come sta affrontando la transizione verso una produzione più sostenibile e questo momento storico nello specifico?

"È una rivoluzione copernicana perché il COVID, nella sua tragicità, ha evidenziato e accelerato moltissimi processi e uno di questi ha avuto un impatto piuttosto violento sui fatturati di aziende quali Xerox, ma dal punto di vista ambientale ha avuto un impatto piuttosto benefico: il numero delle stampe, delle copie e dei documenti cartacei si è ridotto drasticamente per il fatto che il lavoro da casa è diventato uno standard", dice Daniele Puccio (in foto), VP Country Manager in Xerox Italia. "Dal punto di vista di un'azienda che sulle stampe campa è abbastanza drammatico, ma dal punto di vista ambientale è obtorto collouna soluzione che abbiamo dovuto accettare e abbiamo spostato l'asse della nostra attenzione dall'hardware, e quindi da stampe e copie, al fatto di lavorare in maniera massiccia sul software, le soluzioni e le applicazioni - e dunque, nella direzione della trasformazione digitale."

"Oggi abbiamo strumenti nuovi e soprattutto il COVID ci ha imposto quest'area di investimento, quindi negli ultimi 15 mesi abbiamo lanciato piattaforme come DocuShare Go, una piattaforma di gestione dei contenuti che consente con pochi clic di disegnare un flusso automatizzato per favorire la collaborazione in modo sicuro e in cloud, che è indipendente dal nostro hardware", ci dice Ferdinando Salafia, Partner Marketing Manager in Xerox Itala. "Otto mesi fa abbiamo lanciato Workflow Central che consente ai clienti di trasformare i propri documenti in molti formati, cosa che permette di trasformare documenti di origine digitale o scansionati tramite la fotocamera di uno smartphone in un documento audio o in una traduzione in oltre 40 lingue. Ridurre i volumi di stampa è una sfida, ma abbiamo lanciato una divisione software che si chiama CareAR che si affida alla realtà aumentata per consentire ai nostri clienti di provare un'esperienza utente diversa, soprattutto per quanto riguarda il supporto e l'assistenza tecnica. In questo modo si possono risolvere le problematiche da remoto con una diagnostica più precisa, evitando viaggi inutili dei tecnici e risparmiando pezzi di ricambio."

Il cambiamento non riguarda, però, solo Xerox; tutta la filiera deve cambiare e questo è probabilmente il processo più complesso, assieme poi a quello che riguarda i partner e il canale di vendita. Tuttavia, come fanno notare Puccio e Salafia, non mancano le opportunità in questo passaggio e forse è proprio questo aspetto quello più importante, perché mostra come sia possibile per le aziende trasformarsi pur mantenendo la propria attività economica.

"La sostenibilità è una grande opportunità, quindi ci è venuto più naturale fare una serie di adeguamenti al nostro modo di funzionare, come i nostri consumi e il tipo di energia che usiamo, che in fin dei conti ci hanno portato a risparmiare", afferma Pierdamiano Airoldi (in foto), fondatore, presidente e amministratore delegato di Magnetic Media Network, partner di Xerox. "Abbiamo portato questi messaggi presso i nostri clienti, con i quali vediamo un duplice livello: c'è una grande attenzione nelle medie e grandi aziende verso questi temi, determinata anche dal dovere di rispettare bilanci sociali e così via, mentre nelle piccole aziende sentono questi temi come lontani e difficili, senza l'opportunità o la possibilità di portare qualcosa di positivo. Comprendere che in ambito IT, nella trasformazione digitale, c'è la possibilità di fare molto bene in quest'ambito è una bella scoperta e fa scattare una serie di molle che portano anche entusiasmo: si può fare del bene ottenendo dei benefici. Essere sostenibili non è solo un peso o una parola, ma qualcosa di molto concreto."

Di chi è la responsabilità per diventare più sostenibili?

Uno dei problemi che ancora oggi affliggono i discorsi sulla sostenibilità è che ci si focalizza eccessivamente sulla responsabilità degli individui: siamo noi, come privati cittadini e lavoratori, a doverci fare carico di scegliere prodotti sostenibili, di scegliere confezioni riciclabili, di limitare gli sprechi, di separare correttamente le parti riciclabili del packaging dei prodotti da quelle che non lo sono e così via. Tutta la comunicazione intorno al tema della sostenibilità è invariabilmente incentrata sul fatto che sia l'individuo a essere responsabile del corretto funzionamento della transizione ecologica.

Tutto ciò ci porta ad avere un carico aggiuntivo sulle spalle che, però, non dovremmo essere noi a portare: perché dovrebbero essere i cittadini a doversi preoccupare se un certo prodotto è sostenibile, anziché l'azienda che lo vende e/o quella che lo produce? Il problema non dovrebbe essere risolto alla radice, impedendo che vengano prodotti e immessi sul mercato beni non sostenibili? In questo senso, dunque, non servirebbe un intervento regolatore da parte dello Stato o di entità sovranazionali come l'Unione Europea per far sì che ciò avvenga?

Secondo Antonio Poloni (in foto), vice president partner in MMN, "Credo che abbiate ragione: occorre arrivare a una chiara declinazione di regole e di supporto alle aziende che arriva dalle istituzioni, ma occorre allo stesso tempo anche agire dal basso. Perché quando dialoghiamo con le aziende, parliamo con una persona o con un gruppo di persone. Se il nostro interlocutore non ha un certo livello di cultura e sensibilità non saremo mai in grado di superare quei vincoli che ci permettono di trasformare l'azienda." Su quest'ultimo punto, Airoldi interviene per affermare che "soluzioni semplici ed efficaci sono l'innesco perfetto per la consapevolezza e questa penso sia una via efficace per avviare delle trasformazioni: il coinvolgimento anche emotivo delle persone è necessario perché senza di esso, generato da un messaggio chiaro e comprensibile, diventa molto più difficile arrivare a trasformazioni reali."

La soluzione sarebbe, dunque, quella di fare pressione su entrambi i fronti. Perché ciò avvenga, però, dev'esserci un più ampio cambiamento nel modo in cui si parla di sostenibilità, affinché venga data maggiore enfasi proprio sulla responsabilità delle aziende di fornire soluzioni più sostenibili di default tanto ai privati cittadini quanto alle aziende clienti, eliminando quelle che risultano meno sostenibili dall'offerta. Per non parlare, poi, del cambio di cultura che è necessario all'interno delle aziende stesse nel rendere le proprie attività interne più sostenibili, a partire da elementi banali come il riciclo della carta e il divieto di stampare documenti non assolutamente necessari.

Proseguendo su questo filone, abbiamo anche chiesto a Daniele Puccio se sia sufficiente impiegare materiali riciclati all'interno dei prodotti o se sia, invece, necessario spingersi oltre e impiegare materiali riciclabili, favorendo altresì la riparabilità dei dispositivi già in fase di progetto. "Il fatto è che questi due anni, da una parte per le dinamiche dello smart working e dall'altra per le difficoltà che si sono manifestate e si stanno manifestando nel reperimento delle materie prime e nella crisi del trasporto dei prodotti, hanno generato un'accelerazione anche dal punto di vista della progettazione. Attualmente Xerox usa il 34% di materiale riciclato, ma è presumibile che questa percentuale sia destinata ad aumentare drammaticamente, perché l'assenza o carenza di materie prime cambia completamente l'utilizzo e la progettazione. Per fare un esempio, una scheda madre aveva un lead time [ovvero il tempo dalla progettazione all'arrivo sul mercato, NdR] di sei mesi, ora è di due anni. Essendo già impegnati su questa traccia, non vedo come non continueremo, accelerando i processi da questo punto di vista. Il software diventa una componente fondamentale perché permette di trovare soluzioni alternative alla stampa all'interno dei processi aziendali e quindi non potrà non essere un elemento di riferimento per tutte le aziende che vorranno stare nel mercato degli uffici e della gestione dei documenti."

In altri termini, e calcando un po' la mano sul concetto: per quanto sia assolutamente lodevole l'iniziativa di Xerox e la direzione che l'azienda ha preso, guardando le cose da una prospettiva generale (e, dunque, non concentrandoci sulla singola azienda), ci voleva una crisi globale perché ci rendessimo conto che riciclare materiale perfettamente buono è meglio che buttarlo. Un esempio pratico: recuperare i chip dalle lavatrici. Meglio tardi che mai?

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