Oracle
La filosofia di Oracle per il data management: una piattaforma unificata per gestire legacy e cloud native
di Redazione pubblicata il 06 Luglio 2021, alle 10:01 nel canale Cloud
Oracle ha organizzato un webinar per affrontare un tema chiave per la strategia tecnologica delle aziende: come gestire in modo coerente applicazioni legacy e nuovi sviluppi cloud native mantenendo la consistenza dei dati
I dati sono la ricchezza dei nostri tempi. I dati e le applicazioni cloud native, che fanno leva sui dati aziendali per generare valore, sono ormai gli elementi chiave della strategia di tutte le aziende di successo. È altrettanto vero che le aziende di classe enterprise devono far convivere le piattaforme cloud native con i sistemi “legacy” che spesso erogano proprio i servizi mission critical. Frequentemente la convivenza tra questi mondi si traduce in silos, che di fatto limitano le potenzialità delle nuove applicazioni cloud native e comunque creano delle inefficienze nella gestione dell’intera infrastruttura.
Oracle ha una visione molto chiara di come gestire in modo integrato i sistemi mission critical e le piattaforme cloud native, che sarà presentata in un webinar gratuito il prossimo 15 luglio.
Il Dual IT secondo Oracle
“L’obiettivo di questo primo webinar previsto a luglio è raccontare qual è la nostra percezione di come stanno vivendo i clienti, dal punto di vista del data management, quello che gli analisti chiamano il Dual IT” – spiega Angelo Bosis, Technology & Security Architect Director at Oracle. Il Dual IT, per comprendere meglio il tema, è un IT composto da due parti: da un lato i sistemi mission critical (o “legacy”), presenti praticamente in tutte le imprese di grandi dimensioni, e dall’altro le architetture pensate per il nuovo business. Perché questa separazione? Più che una scelta, è una necessità nella maggior parte dei casi. Se le startup infatti nascono già in digitale e tutto ruota attorno a piattaforme digitali pensate per gestire l’intero business, le aziende di fascia enterprise si portano dietro una serie di sistemi con qualche anno sulle spalle, sui quali si basa il core business aziendale. A questi si affiancano poi infrastrutture IT più moderne e agili, pensate per sfruttare le nuove opportunità restando al passo con l’innovazione. Le applicazioni sviluppate con questi paradigmi, ci spiega Bosis, si basano sulla filosofia cloud native, pur non essendo necessariamente erogate in cloud.
Durante la pandemia, la componente di infrastruttura IT cloud native ha visto una crescita che Bosis definisce “enorme”, dato che in molti casi i progetti che erano in fase di sperimentazione sono diventati rapidamente operativi. Il problema emerso è che queste nuove piattaforme sono rimaste però disaccoppiate dai sistemi tradizionali, non integrati a dovere.
Ma come si è arrivati nel tempo allo scenario attuale? Secondo Bosis si è trattato di un processo graduale, composto da una serie di passaggi.
Il data management nasce come gestione dei repository di dati transazionali, a cui si è aggiunta successivamente l’esigenza di applicare componenti di tipo analytics alle informazioni, così da poterne estrarre maggior valore. Il passo successivo è stato la nascita dei big data, con l’enorme mole di informazioni storiche che ha permesso alle imprese di evolvere verso il concetto di data driven company. Nel tempo però chi ha adottato questo approccio ai dati si è reso conto che le piattaforme che aveva a disposizione non erano pensate per lavorare sui dati in tempo reale. “Si sentiva la necessità di andare a lavorare direttamente sulle informazioni relative ai dati operazionali”, aggiunge Bosis, e questa esigenza ha dato la spinta a puntare sui sistemi cloud native, cioè quei sistemi basati su paradigmi nuovi, inizialmente sperimentali ma che durante la pandemia hanno iniziato a diventare operativi.
Non è finita qui: a questo punto ci si trova ad avere a che fare con dati di ogni tipo, non solo transazionali, ma anche documentali, grafici, spaziali e così via. Il repository dei dati, di conseguenza, deve essere strutturato per gestire e mettere in relazione tutte queste tipologie di informazioni, per supportare tutti i tipi di lavori e, infine, per essere developer friendly, per adeguarsi cioè alle esigenze degli sviluppatori.
La soluzione indicata da Oracle è il database convergente.
La data platform convergente
Per spiegare il concetto di database convergente, Bosis fa il paragone con lo smartphone. In passato, avevamo il cellulare, la macchina fotografica, il registratore, il lettore MP3, dispositivi diversi per funzioni che sono poi state integrate in un unico dispositivo. Il database convergente è fondamentalmente lo smartphone nel contesto dei database: risponde a tutte le esigenze senza dover creare silos separati per ogni tipo di dato e carico di lavoro.
“Il database però è solo un pezzo della soluzione”, sottolinea Bosis, introducendo il concetto di data platform convergente, una piattaforma che si basa su tre componenti:
- la data ingestion, cioè la raccolta dei dati da tutte le fonti, che include anche una prima elaborazione dei dati per “pulirli”
- la parte di persistenza, per la conservazione dei dati
- la parte di analisi, che include sia gli strumenti di analytics sia le API che consentono di elaborare i dati tramite altre applicazioni
Questo approccio ha il vantaggio di permettere di lavorare contemporaneamente sui dati storici e sui dati che arrivano in tempo reale, senza dover creare due silos informativi separati.
Bosis sottolinea un aspetto importante: il database convergente non elimina la necessità del Dual IT. “Secondo noi la prospettiva è che rimangano due infrastrutture IT, quella dei sistemi critici e quella per il nuovo business. Sui sistemi critici, prima di pensare alla loro sostituzione, suggeriamo fortemente di applicare un costante aggiornamento tecnologico, non solo per ridurre i rischi impliciti nell’obsolescenza ma anche come veicolo di innovazione estesa ai sistemi maturi. La data platform convergente, invece, sarà il ponte verso le nuove applicazioni, sulla quale saranno convogliati i nuovi sviluppi”.
Un approccio che secondo Bosis è ideale non solo per le aziende di fascia enterprise, ma anche per tutte le organizzazioni di medie dimensioni: “Le uniche realtà che non hanno la necessità del Dual IT sono alla fine le startup, perché non hanno un IT con una storia da salvaguardare, ma partono già da uno stack dati moderno e con applicazioni cloud native”.