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La visione di Eclipse Foundation su cloud, indipendenza dagli hyperscaler e monetizzazione dall'open source

di pubblicata il , alle 14:01 nel canale Innovazione La visione di Eclipse Foundation su cloud, indipendenza dagli hyperscaler e monetizzazione dall'open source

In occasione della SFScon 2022 Edge9 ha incontrato Agustin Benito Bethencourt, Oniro Program Manager della Eclipse Foundation. Si è parlato di cloud, indipendenza dagli hyperscaler, sovranità digitale e modelli economici che ruotano attorno all'open source

 

In occasione della SFScon che si è tenuta a Bolzano a novembre organizzata da NOI Techpark, l'hub dell'innovazione dell'Alto Adige, abbiamo avuto di fare una chiacchierata con Agustín Benito Bethencourt, il program manager del programma Oniro della Eclipse Foundation. Si tratta di un progetto Open Source che mira alla realizzazione di una piattaforma aperta per vari tipi di dispositivi, come smartphone e tablet, indipendentemente dal loro produttore, al quale collaborano anche il Politecnico di Milano e Huawei. La discussione non si è però limitata a questo e abbiamo approfondito con Augustin anche altre tematiche, a partire dal cloud europeo: Eclipse Foundation è infatti uno dei membri del progetto Gaia-X che mira a creare il framework dell’infrastruttura cloud dell’UE. 

sdscon speech 2022

Questi e altri temi sono stati affrontati da Bethencourt e altri relatori durante la SFScon, una delle principali conferenze internazionali dedicate al Free Software che ogni anno richiama al NOI Techpark di Bolzano centinaia di speaker e di appassionati/e del settore.

L’Open Source deve essere “commercial friendly”

Siamo il principale contributore per quanto riguarda la distribuzione di codice Open Source in Europa, e siamo coinvolti nei principali programmi europei.  La prima cosa che vorrei sottolineare è che per risolvere i problemi non dovremo seguire lo stesso approccio di altri paesi, come gli USA il Giappone”, spiega Bethencourt. “[Questi Paesi] hanno enormi aziende e un sistema economico che le promuove, e per certi versi abbiamo a lungo copiato questo modello. Un modello che non funziona molto bene in Europa, dove la maggior parte delle aziende sono di medie o piccole dimensioni. Noi dovremmo puntare sulla collaborazione. E quando pensi al software e all’hardware, l’Open Source si è rivelato il modo migliore per risolvere i problemi. Credo che se inseriamo l’open source in questa equazione stiamo andando nella giusta direzione”.

sfscon2022Quello che Bethencourt vuole sottolineare è che nel Vecchio Continente è impossibile ragionare come si fa oltreoceano, dove il mercato è dominato da aziende di dimensioni colossali che hanno la forza di imporre le loro visioni e le loro tecnologie, e che dobbiamo invece puntare su una maggiore collaborazione fra i tanti attori di dimensioni (e peso economico) minori se vogliamo ridurre la dipendenza dalle tecnologie che, a tutti gli effetti, sono nelle mani delle grandi imprese. A partire dal cloud, oggi controllato dagli hyperscaler.

Ma come si può far convivere il concetto di software libero e aperto con le esigenze commerciali e la necessità di monetizzare? Semplice: sviluppare soluzioni open source che siano “commercial friendly”, cioè piattaforme aperte, il cui codice sorgente è disponibile a tutti, ma in grado di portare valore economico. “Il software che sviluppiamo all’interno di Eclipse è mirato alla commercializzazione. È quello che vogliamo”. E questo vale anche per la collaborazione con Gaia X e progetti similari. “Se aggiungi all’equazione l’indipendenza dai produttori, la trasparenza, l’open source e la scalabilità dell’hardware, aumenti le probabilità che il progetto abbia successo, incrementando il numero di piccole realtà coinvolte e riducendo quelli dei principali attori del settore”.

Eclipse foundation

Distribuire, non concentrare

Considerato che l’economia Europea è composta prevalentemente da aziende di piccole e medie dimensioni, risulta complicato capire come queste imprese possano riuscire nell’impresa di creare alternative valide ai classici hyperscaler, e soprattutto di farlo in tempi brevi. Bethencourt ribadisce che per ridurre la dipendenza dai soliti colossi non possiamo giocare sullo stesso campo: cercare di far nascere un hyperscaler europeo non sarebbe la soluzione ideale. “In Europa ha senso puntare su servizi federati, non centralizzati. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di unire le forze di piccole aziende per creare un servizio centralizzato, ma di creare una tecnologia che consenta di separare questi servizi, per fare in modo che il cloud a questo punto sia solamente il PC di un’altra persona, che gestisce dei servizi e che ti permette di controllare i tuoi dati. Da nessuna parte c’è scritto che il cloud deve essere controllato in maniera centralizzata del resto”.

Un concetto che Bethencourt estende anche ad altri tipi di business, a partire dai social network. “Pensa a Twitter: è un servizio centralizzato. Come possiamo competere con una simile azienda? Creare un’alternativa non ha senso. Twitter è nato in una realtà [economica] fatta su misura per questo approccio. Però, possiamo competere cambiando approccio. Come nel caso di Mastodon, che è un servizio federato e si basa sull’approccio open source. Ovviamente non sto dicendo di abbandonare Twitter e passare tutti a Mastodon, sono servizi differenti, e mi piacciono entrambi. Quello che voglio sottolineare è il concetto di federare i servizi, condividere accordi fra i vari attori, che è una modalità più vicina al sistema europeo. Al contrario degli USA, non abbiamo una singola cultura, non abbiamo una lingua comune, un modo univoco di interpretare la realtà. E nemmeno la tecnologia. Ecco perché spingo verso sistemi distribuiti e federati

Il problema? Non è politico

Sicuramente coinvolgere le differenti realtà, farle sedere a un tavolo comune e creare non tecnologie condivise ma framework tecnologici aperti e comuni può fare la differenza, ma riuscire a trovare un punto comune fra le differenti visioni non è semplice in Europa, dove ogni Paese ha una sua agenzia e le sue esigenze. Secondo Bethencourt però la difficoltà nel trovare una visione comune non è politica: è un problema legato alle aziende, al modo in cui concepiscono il business. Le imprese europee “sono cresciute in una cultura nella quale cercano di diventare i player di riferimento. Se cerchi di fare qualcosa di strategico in Europa non puoi agire senza il supporto di quei 25 grandi attori in UE. E non è semplice dire loro che inizialmente potranno guidare il cambiamento ma poi sarai tu [le istituzioni, o altre imprese] a prendere le redini. E questo dovrebbe essere il ruolo della Commissione Europea: fare comprendere a queste imprese che potranno fare moltissimi soldi supportando questo modello, creando un sistema per tutti”.

Un discorso che Bethencourt estende anche ad altri ambiti, a partire dall’industria 4.0. Una rivoluzione che si sta imponendo e che non dovremmo limitarci a inseguire come Europa, cercare di adattare alle nostre esigenze innovazioni che arrivano dall’esterno “perché è chi innova che decide”. E non possiamo più permetterci di dipendere dalle grandi aziende del software come usare la tecnologia, come modellarla, limitandoci a ritoccarla, adattarla: è necessario guidare l’innovazione per controllarla e goderne tutti i benefici.

La dipendenza digitale dell’UE

L’UE si sta muovendo nella direzione dell’open source, soprattutto nell’ambito della Pubblica Amministrazione, che però è ancora molto legata alle piattaforme di realtà statunitensi. Non un vero e proprio lock in, ma comunque una dipendenza non facile da eliminare. Secondo Bethencourt, per riuscirci è necessario partire dalle basi e mettere dei punti fermi. Il primo di questo è molto semplice “public money. public code. Open Source”. Questo il punto di partenza, secondo Bethencourt che non nega certo le difficoltà a raggiungere tale obiettivo, che però dovrebbe essere primario e, per certi versi, quasi scontato. “Le PA sono qui per servirci. E se paghiamo il codice, è corretto richiederne l’accesso. E dobbiamo chiedere più trasparenza, così da poterlo verificare. Facciamo di tutto per garantire la trasparenza della PA, ma sul software ancora no. Come sappiamo se garantisce gli standard minimi di sicurezza nel proteggere i dati dei cittadini? Il software e i dati sono essenziali, non solo per la vita digitale: sono essenziali anche per la nostra vita fisica. E in futuro lo saranno sempre di più. Ecco perché non possiamo attendere ulteriormente. L’idea che prima pensiamo alla vita fisica e poi a quella digitale è sorpassata: dobbiamo pensare al digitale perché impatta sulla nostra vita fisica”.

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Un altro aspetto chiave sottolineato da Bethencourt è quello di come finanziare lo sviluppo del software. A oggi si compra, come un qualsiasi asset fisico, che sia un computer, un’ambulanza, un edificio. “Il software è una cosa differente, e dobbiamo trovare un modo differente di finanziarlo”. Meglio incentivarne lo sviluppo, occuparsene internamente, se si vuole ridurre la dipendenza.
Ma come si è arrivati a questo, considerando che negli anni 80 e 90 l’Europa poteva contare su numerose eccellenze nell’ambito del digitale e del software? In parte, spiega Bethencourt, è uno dei risultati della globalizzazione, che ha portato numerosi vantaggi ma anche qualche problema, nello specifico la corsa all’outsourcing. Esternalizzare pone un freno all’innovazione, soprattutto quando si parla di software. “Puoi esternalizzare la produzione, non la conoscenza. E se esternalizzi il software, stai dando la conoscenza in outsourcing”.

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