Smart Working
Perché è ora di smettere di parlare solo di smart working: serve un cambiamento organizzativo (e anche lessicale)
di Riccardo Robecchi pubblicata il 02 Luglio 2021, alle 10:11 nel canale Innovazione
Il dibattito sulle nuove modalità di lavoro è stato inquinato da più parti, con un appiattimento dei termini che impedisce di parlare di ciò che conta davvero, ovvero i diritti delle persone. Facciamo il punto
22 Commenti
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Un sistemista come me, non potrebbe mai fare smart working.
Salvo quei rari casi in cui si debba mettere in piedi una nuova infrastruttura e quindi si abbiano degli step organizzativi (che si possono modificare all'occorrenza nelle tempistiche).
Nella gestione quotidiana al massimo possiamo parlare di telelavoro (o lavoro ibrido).
Questo, però, è un altro paio di maniche ed è ben diverso dall'affermare che non ci siano differenze o che non ci sia la necessità di fare chiarezza sui termini. Sono d'accordo con te: in molti lavori non è possibile lo smart working e bisogna limitarsi al lavoro ibrido. La mia intenzione era però proprio quella di fare maggiore chiarezza sul significato dei termini, per quanto sottili possano apparire le differenze tra loro.
Imho a parte la interessante questione lessicale che ha probabilmente radici ben piu' lontane del periodo del lavoro "a distanza", a prescindere dal luogo, tempo e dimensione, radici che appunto stanno nella questione mediatica e percezione del lessico "comune", anche laddove questa diversificazione trovasse la giusta terminologia resta il problema principale, la quantità e qualità del lavoro odierno che sia a distanza o in una sede aziendale sarebbe un problema secondario.
Si potrebbe giustamente riflettere che nell' epoca in cui viviamo non abbia molto senso un idea lavorativa in stile ottocentesco con i cancelli chiusi a chiave quando l'ultimo lavoratore entrava per cui imho ben vengano forme che possano prendere il meglio per entrambe le parti. Perchè non si puo' dire che fare 50km avanti e indietro tutti i giorni sia "naturale" cosi' come naturale non sia forse stare tutti i giorni a stretto contatto con decine di persone che magari non si sopportano ma in una sorta di allegra recitazione teatrale.
Ma e' anche necessaria formazione (quando mai), interfacciamento con altri e mantenimento di buona socializzazione nei gruppi di lavoro appunto etc.. per cui essere messi nelle condizioni di lavorare a distanza nel modo corretto pare onere dell' azienda e non del lavoratore. Perche' si ha come l'impressione che oggi si "nasca imparati". Basti vedere le offerte di lavoro "Cercasi astronauta con pregressa esperienza sul suolo lunare, per stage impiegatizio, benefit buono pasto (tramezzino)". Mi preoccupa piu' questa tendenza che non il dove poi si debba lavorare sebbene appunto non mi pare che tornare al sistema impazzito del quotidiano caos stradale mattutino possa essere la soluzione in ottica di produttività.
Sul punto della responsabilizzazione del dipendente mah.. la piramide ha una forma precisa e ho come l'impressione che senza accorgersene spesso in alcuni contesti sia capovolta. Es. aziende con piu' dirigenti, capi e coordinatori che personale base da coordinare...
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