HPE: il modello 'as a service' visto dai decision maker è il futuro ma resta un'incognita

HPE: il modello 'as a service' visto dai decision maker è il futuro ma resta un'incognita

HPE ha pubblicato un'indagine tra i "decision maker" in ambito IT che scatta una fotografia di come viene visto il modello "as a service": la stragrande maggioranza lo vede come il modello del futuro, ma non mancano le incognite

di pubblicata il , alle 10:01 nel canale Innovazione
HPE
 

Una recente indagine pubblicata da HPE rivela sentimenti contrastanti da parte dei decision maker in ambito IT riguardo il modello as a service. Se infatti quasi nove su dieci affermano che la propria azienda stia passando a tale modello e che tre quarti affermino che il passaggio sarà completo entro cinque anni, c'è anche una certa preoccupazione che tale passaggio renda obsoleta la propria figura professionale. I vantaggi sembrano, però, avere maggiore peso degli svantaggi nell'opinione della maggior parte degli intervistati.

Il modello "as a service" visto dai decision maker: molte luci, alcune ombre

L'87% dei decision maker afferma che la propria organizzazione sta passando al modello as a service, con il 75% che afferma che tale transizione sarà completa e totale entro 5 anni. Una maggioranza preponderante vede dunque in questo modello il futuro del proprio lavoro.

Il livello di convinzione riguardo la stretta necessità di tale passaggio è però assai inferiore: il 58% lo ritiene "molto importante" per il futuro della propria azienda, il 55% per la competitività e il 53% per la crescita. C'è poi un interessante fenomeno generazionale che entra in gioco quando si parla del timore che questo passaggio renda la propria figura professionale obsoleta: solo il 23% degli ultra-55enni ritiene che il modello as a service possa costituire un problema, contro ben il 60% delle persone nella fascia tra i 22 e i 34 anni. Non viene però spiegato se si tratti di una differenza dettata da diverse prospettive di permanenza nel mercato del lavoro, con conseguente minore impatto dei cambiamenti per chi ne uscirà prima, o da una differente percezione delle implicazioni che il cambiamento porterà con sé. Entrambe le fasce di età condividono (al 67%) la preoccupazione che le nuove generazioni fatte di "nativi digitali" possano avere un forte vantaggio competitivo.

Resta condivisa anche l'idea che il vantaggio per le carriere degli intervistati nel breve termine sia indiscusso. La percentuale è plebiscitaria: l'87% ritiene che l'adozione del modello "as a service" possa portare vantaggi alla propria carriera personale. Il principale vantaggio sarebbe dato da un cambio di prospettiva che vedrebbe le persone passare da responsabili delle operazioni quotidiane a responsabili della strategia: da soldati a generali o da muratori ad architetti, per fare un parallelo con altri mestieri.

Resta però anche la preoccupazione di gestire il cambiamento: il 77% afferma che i dati aziendali sono conservati in silos separati tra cloud pubblici e privati, con il 75% convinto che ciò rappresenti una sfida chiave per la propria attività e il 66% che ammette che il passaggio di dati verso il cloud pubblico è bloccato.

Il modello as a service è attualmente una delle forme più adottate da parte delle aziende per proporre i propri prodotti. Quanto però ciò sia positivo in termini assoluti e nel lungo periodo non è tuttora chiaro. Chi scrive ritiene significativa la preoccupazione dei più giovani, che vedono minacciata la propria impiegabilità futura da questo passaggio epocale. Come avviene da sempre con tutti i cambiamenti di una certa portata è difficile prevedere le conseguenze e individuare chi sarà colpito e come. Per il momento resta però indubbio che il modello as a service stia portando numerosi vantaggi alle aziende.

È possibile leggere il rapporto completo a questo indirizzo.

3 Commenti
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giovanni6920 Dicembre 2019, 10:31 #1
Auspicano di diventare 'responsabili della strategia'.... attendiamo la diffusione dell'AI e tutto il deep learning ad esso associato e poi vediamo come si sentono dei Napoleoni questi decision makers...
Ragerino20 Dicembre 2019, 11:33 #2
Che genere di vantaggio competitivo hanno i nativi digitali?
Sotto certi aspetti a me sembrano 'piu stupidi' della generazione precedente.
Sono la generazione che sa usare le cose, non sa come queste cose funzionano però, perche sono nati e cresciuti con tutto dato per scontato.
Lontani sono i tempi della gente che si ingegnava per far funzionare le periferiche, i driver, andava a modificare parametri vari, risolveva problemi. Al giorno d'oggi le cose funzionano e basta. Non che sia una cosa brutta di per se, ma l'utente medio non sà risolvere un problema quando si presenta, nativo digitale o non.
Tasslehoff20 Dicembre 2019, 17:29 #3
Decision makers? Ovvero executives?

E di cosa avrebbero mai da temere costoro?
Forse che di punto in bianco il genere umani cominci a rinsavire e si renda conto di quanto siano figure inutili, costose, ridondanti e sostanzialmente autoreferenziali?

Mi piacerebbe molto pensarlo e che succeda, ma ahimè se dovessi scommettere dei soldi non farei certo una puntata in tal senso

L'inutilità di questa indagine (e dell'articolo che fa riferimento ad essa) è evidente a chiunque bazzichi anche solo lontanamente nell'IT, dato che i "decision makers" di fatto sono del tutto slegati dal contesto tecnico, non hanno alcun contatto con esso (ecco perchè le decisioni che prendono sono quasi sempre catastrofiche o perlomeno del tutto avulse dalle reali esigenze tecniche), quindi come potrebbero veder minacciata la propria posizione da un fattore tecnico?

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