Perché è ora di smettere di parlare solo di smart working: serve un cambiamento organizzativo (e anche lessicale)
di Riccardo Robecchi pubblicata il 02 Luglio 2021, alle 10:11 nel canale InnovazioneIl dibattito sulle nuove modalità di lavoro è stato inquinato da più parti, con un appiattimento dei termini che impedisce di parlare di ciò che conta davvero, ovvero i diritti delle persone. Facciamo il punto
Si dice sempre che le parole hanno un peso. Ecco perché dovremmo smettere di parlare di "smart working" in questa fase. È un abuso del termine, una semplificazione che si è imposta nella parlata comune grazie anche (e forse soprattutto) ai media che svuota però di significato un concetto importante, rendendolo indistinguibile dal lavoro da remoto, dal lavoro da casa e dal lavoro agile. Questa leggerezza nell'uso dei termini, usati interscambiabilmente, porta poi a una confusione che impedisce ai lavoratori di reclamare diritti e ai dirigenti di comunicare chiaramente le proprie intenzioni. Cosicché tutti hanno qualcosa da perdere.
La prigione dello smart working: è ora di dire basta
Più volte è capitato, negli scorsi mesi, che parlassi con PR e responsabili della comunicazione delle varie aziende con cui sono in contatto. Il quadro che emergeva era uno solo: che tutti fossero stufi dello "smart working". Ovvero di lavorare da casa, senza la possibilità di andare in ufficio o, comunque, cambiare ambiente. Una sensazione condivisa, in particolare perché ho lavorato da Glasgow, in Scozia, dove c'è stato uno dei più lunghi lockdown d'Europa (9 mesi!). Alcuni conoscenti in Italia, d'altro canto, mi hanno invece detto che loro hanno continuato ad andare in ufficio, scegliendo quando lavorare lì e quando da casa compatibilmente con le restrizioni imposte dal Governo e dalle autorità locali.
Il problema è che queste tre situazioni sono molto diverse tra loro: da un lato c'è il lavoro da casa, dall'altro il lavoro da remoto, dall'altro ancora lo smart workingvero e proprio. La differenza di quest'ultimo dagli altri due sta nel fatto che è quasi più una filosofia, dato che prevede un'organizzazione fluida del lavoro, in cui i lavoratori hanno libertà di scelta riguardo la propria presenza in ufficio all'interno di parametri decisi assieme ai datori di lavoro.
In Italia il dibattito si è incentrato subito sul termine "smart working", molto probabilmente per via del fatto che nel nostro Paese si abusa dei termini inglesi esclusivamente per via della loro origine, ma spesso senza una reale comprensione del loro significato (un esempio su tutti è "case history", che è l'anamnesi del paziente...). Nel Regno Unito non si è mai parlato di "smart working" durante la pandemia, ma solo di "working from home" ("lavoro da casa"), con una chiarezza di termini che è andata totalmente persa nel nostro Paese.
Il lavoro da casa è quello che moltissimi di noi hanno sperimentato nel corso dell'ultimo anno e mezzo: si tratta di una modalità in cui l'unica opzione è lavorare dalla propria abitazione, senza particolari differenze nella struttura della giornata rispetto all'ufficio. L'unica differenza sostanziale dalla norma è dunque il luogo; in una situazione non di pandemia ciò può significare anche che si è generalmente liberi di lavorare altrove, ad esempio da un bar o da una biblioteca, ma senza variazioni sugli orari.
Il lavoro da remoto è leggermente diverso: sebbene in molti casi coincida con il lavoro da casa, la differenza più sostanziale sta nel fatto che può essere eseguito da qualunque luogo e il lavoratore non deve necessariamente essere vicino all'ufficio, tanto che può essere anche in un altro Paese. In questo caso ci sono differenze più che altro contrattuali rispetto al lavoro da casa, che risulta di fatto essere un sottoinsieme dei possibili casi di lavoro da remoto.
Il lavoro ibrido è invece, come suggerisce il nome stesso, una combinazione di lavoro dall'ufficio e lavoro da casa o da remoto. Il lavoratore è libero, entro limiti concordati con il datore di lavoro, di scegliere quando essere presente in ufficio e quando, invece, rimanere a casa.
Lo smart working è, per certi versi, una variante del lavoro ibrido e viene definito "smart" perché consente di organizzare al meglio la propria settimana, non solo rimanendo a casa quando è necessario riposarsi maggiormente o quando sono presenti impegni (un esempio può essere l'accudimento dei figli), ma perché è presente la possibilità di gestire i propri orari, che perdono la normale rigidità per permettere ai lavoratori di scegliere quando lavorare. La flessibilità data alle persone è dunque molto maggiore rispetto agli altri modelli e la possibilità di scelta è la principale caratteristica di questa modalità.
Per molti versi possiamo definire questa come una filosofia di organizzazione aziendale, dato che dà maggiore responsabilità alle persone rispetto al modello tradizionale di controllo rigido e costante da parte del datore di lavoro. Una componente imprescindibile dello smart working è poi il lavorare per obiettivi: dare maggiore libertà di organizzazione alle persone non ha senso se non si cambia la filosofia di lavoro a monte, passando dalla remunerazione del tempo e della presenza alla remunerazione del raggiungimento di obiettivi. Dare libertà organizzativa perde di significato se, alla fine, ciò che importa è il tempo che si passa a lavorare. In altre parole, bisogna spostare l'accento dalla quantità alla qualità del lavoro.
Il lavoro agile nasce, invece, nel mondo dello sviluppo del software che si è poi allargato ad altri campi. In questo caso l'elemento "filosofico" è molto più marcato, dato che non si tratta solamente della questione del luogo di lavoro. Cardine del lavoro agile è l'auto-organizzazione dei lavoratori, l'apertura rispetto ai cambiamenti anche all'ultimo minuto, la cooperazione a stretto contatto con gli altri membri di una squadra, la fiducia negli individui, la ricerca della semplicità e la riflessione collettiva su come migliorare. I lavoratori vengono coinvolti nei processi decisionali e spesso non c'è una struttura gerarchica netta, ma un apparato più democratico in cui chiunque ha diritto di parola. Si tratta dunque di un approccio completamente diverso rispetto a quelli adottati tradizionalmente e non sempre attuabile in tutti i contesti.
Le differenze tra queste modalità sono ben definite l'uso dei termini in modo interscambiabile li svuota del proprio significato. La questione della correttezza formale è in questo caso anche una faccenda di correttezza sostanziale.
Verso un cambiamento?
Il dibattito pubblico è ormai inquinato nell'uso corretto dei termini e difficilmente potrà essere risanato, almeno in tempi brevi. È tuttavia ancora possibile riportarlo sul giusto binario, che è quello della richiesta di maggiori diritti per i lavoratori e di condizioni di lavoro più confacenti al raggiungimento del proprio benessere psico-fisico, al soddisfacimento delle proprie esigenze e al conseguimento delle proprie aspirazioni.
Questi aspetti non sono in antitesi con le esigenze aziendali e, anzi, diversi studi realizzati nel mondo hanno dimostrato che l'adozione di modalità di lavoro innovative (riduzione degli orari, maggiore coinvolgimento dei lavoratori nei processi decisionali, maggiore libertà di scelta di luoghi e orari di lavoro) porta spesso a un incremento nella produttività e nella soddisfazione da parte dei lavoratori. Ad esempio, un esperimento pre-pandemia di Microsoft in Giappone, condotto nel 2019, aveva rivelato come una settimana lavorativa di quattro giorni aumenti la produttività e diminuisca le spese operative.
Un'indagine di Flexjobs ha rilevato come il 61% dei genitori preferisca il lavoro da casa nonostante le limitazioni di questo modello, mentre nel Regno Unito un sondaggio del 2020 rivela come l'80% dei lavoratori preferisca continuare a lavorare da casa almeno parzialmente. Questo perché modalità di lavoro innovative tendono a garantire un migliore bilanciamento tra lavoro e vita privata, dando più tempo libero alle persone e consentendo loro di rilassarsi di più e perseguire meglio i propri interessi. Un famoso saggio di Isaac Asimov affermava che il modo migliore per aumentare la creatività dei lavoratori sia proprio il concedere loro più tempo libero, perché le idee migliori spesso arrivano occupandosi di argomenti non correlati tra loro.
Al momento ci troviamo nella condizione ideale per rivedere l'approccio al lavoro: se fino a qualche anno fa non c'erano infatti gli estremi per implementare davvero politiche di smart working e lavoro agile, oggigiorno sono presenti e diffusi gli strumenti tecnologici per farlo senza eccessive difficoltà. Le connessioni a banda larga, i computer potenti e gli strumenti software per la collaborazione a distanza sono diffusissimi e, al di là della situazione contingente in cui c'è penuria di componenti, alla portata di tutti. Con le limitazioni tecnologiche che non sono più l'ostacolo principale a un cambio netto nel modo di intendere il lavoro, il più grande scoglio da superare è quello della mentalità: in Italia resta molto forte l'attaccamento al controllo totale dei lavoratori da parte dei datori di lavoro (per usare un termine inglese, il micromanagement) e l'affezione al vedere i sottoposti in ufficio per un dato numero di ore al giorno.
Con la riapertura progressiva della società rimarrà dunque da vedere quanti continueranno a lavorare da remoto o in (vero) smart working, ma per avere un dibattito sano è necessario parlare chiaramente. Per questo bisogna insistere nel chiamare ogni cosa col proprio nome: senza chiarezza non può esserci cambiamento.
22 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoA parte gli scherzi, il "nostro" problema è che la mentalità media è quella del furbetto ... lavorare poco e guadagnare il più possibile, e visto che molti dirigenti, secondo me, la pensano esattamente allo stesso modo non passa l'idea che responsabilizzare i dipendenti porti maggiori vantaggi che tenerli a forza in un ufficio 8 ore al giorno 5 giorni a settimana su 7 ... come gli si potrebbe chiedere di dare fiducia ai dipendenti se loro per primi non la meriterebbero in situazioni simili?
speriamo ci sia presto un ricambio generazionale e di mentalità!
Mail alle 20, videochiamata alle 22, riunione in Zoom la domenica.
Poi, si possono usare tutte le parole inglesi o i neologismi che si preferiscono pero' la verita' e' sempre la stessa: massimo sfruttamento delle persone. Perdon, risorse umane. Perche' manco piu' siamo persone.
Si lavora per vivere. Non si vive per lavorare. Ma di questi tempi, devi pure ringraziare che ti danno l'opportunita' di farti lavorare.
Non ho richieste extra orario, facciamo tutti le nostre 8 ore giornaliere dalle 9 alle 18.
La mia opinione è che lo sto trovando alienante, avevo cambiato lavoro 4 mesi prima dell'inizio del lockdown, la maggior parte dei colleghi che lavorerebbero nel mio ufficio non li conosco.
Non si ha più nessun rapporto umano con i colleghi, ci si sente solo per qualche riunione in cui si parla solo di lavoro.
Non metto in dubbio che questa tipologia di lavoro ha i suoi vantaggi, ma preferirei ritornare almeno ad una situazione ibrida.
Nel mio settore questo anno ha cambiato tutto, con colleghi che hanno lasciato l'azienda per lavorare in remoto per aziende straniere o in aziende con sedi in altre città.
Per me la possibilità di stare a casa tre o quattro giorni a settimana è imprescindibile, così come la flessibilità degli orari nei lavori che lo consentono.
Nel ramo informatico ho già avvisato tutti i miei capi.
Tornare in azienda significa che le stime saranno sensibilmente più alte.
Non si lamentassero se un problema in produzione NON si riesce a risolverlo nella serata/nottata.
Se ne parla il giorno dopo con risoluzione entro le 18.00.
Altrimenti pagassero a tutti la reperibilità 365 giorni all'anno.
Il concetto è chiaro e vale per la maggioranza dei lavori. E' oltre 1 anno che non torno in azienda e la produttività è aumentata nonostante il covid.
Non si lamentassero se un problema in produzione NON si riesce a risolverlo nella serata/nottata.
Se ne parla il giorno dopo con risoluzione entro le 18.00.
Altrimenti pagassero a tutti la reperibilità 365 giorni all'anno.
Questo significa che stando a casa dai la reperibilità 24h senza essere pagato (GRATIS)?
Mentre se lavorassi in ufficio vorresti essere pagato per la stessa reperibilità?
Non mi torna molto il tuo ragionamento. O forse non sto capendo io.
Non ho richieste extra orario, facciamo tutti le nostre 8 ore giornaliere dalle 9 alle 18.
La mia opinione è che lo sto trovando alienante, avevo cambiato lavoro 4 mesi prima dell'inizio del lockdown, la maggior parte dei colleghi che lavorerebbero nel mio ufficio non li conosco.
Non si ha più nessun rapporto umano con i colleghi, ci si sente solo per qualche riunione in cui si parla solo di lavoro.
Non metto in dubbio che questa tipologia di lavoro ha i suoi vantaggi, ma preferirei ritornare almeno ad una situazione ibrida.
stai nella mia stessa situazione, ho cambiato lavoro poco dopo Marzo 2020... e dopo quasi un anno e mezzo posso dire che, una o due volte a settimana, vorrei tornare
Oltretutto non sempre si lavora in condizioni ottimali (specie quando si hanno bambini piccoli e la casa è condivisa ).
Lavoro sicuramente molto di più di prima perchè alla fine ti colleghi ad ogni problema, anche senza avere la reperibilità e non ti fai grossi problemi a trattenerti un po'.
In ufficio molti allo scadere delle 8 ore, fuggirebbero via perchè devono farsi anche 60-100 km per tornare a casa.
Ho avuto la fortuna di praticare lo smart working propriamente detto (come definito qui) più di 10 anni fa per un periodo di tempo limitato (aimhè per una azienda multinazionale e lì si parlava di obiettivi: devi fare questo, quanto ci metti? E per questo? E questo? Ok, ci vediamo lunedì con il lavoro fatto.
Andavo 1 solo giorno la settimana a consegnare il lavoro, sincronizzarmi con gli altri colleghi, sentire di persona se quanto fatto precedentemente aveva problemi, imprecisioni, miglioramenti possibili. Gli altri giorni potevo andare al mare di giorno e lavorare di notte su una mongolfiera che non gliene fregava niente a nessuno.
Quello che contava e valutavano era avere il lavoro pattuito fatto per la data concordata e la qualità dello stesso che veniva valutata poi nei giorni a seguire quando andavano ad utilizzarlo.
Equivaleva per me risparmiare 1 ora e quaranta minuti di viaggio 2 volte al giorno (quindi oltre 3 ore al giorno) x 4 giorni. Equivale a 13 ore la settimana risparmiate in inutile viaggio.
Prima e dopo quell'esperienza, ho sempre dovuto subire (perché per me è una imposizione medievale) il fatto di dovermi recare in un ufficio entro una certa ora, sedermi sulla sedia a me destinata (quando c'era o dover accaparrarmene una) davanti alla scrivania a me riservata e scaldarla per 8 ore. E vi posso garantire che ci sono stati giorni in cui scaldare la sedia è stato il massimo sforzo profuso nell'attività lavorativa.
Manco che essere in un posto con il capo che può guardarti ogni secondo è sinonimo di controllo della qualità del lavoro o della produttività.
Poi è arrivata la pandemia, brutta bestia, con la nota positiva che le aziende sono state forzate a cercare di organizzare il lavoro come avevo sperimentato personalmente anni addietro. Devo dire che c'è un abisso tra quanto fatto prima e con la pandemia.
Lasciare le persone a casa a lavorare come dei lupi solitari non è smart working.
E infatti si hanno gli esempi di gente che lavora senza rispetto degli orari, con l'idea che visto che sei a casa puoi anche fare il doppio delle cose, il sabato mattina perché no, tanto sei a casa che ti costa sederti al PC uno, due o quattro orette, orca c'è l'emergenza... domenica ce la facciamo a sistemare la cosa?
Non è una questione di tecnologia. 15 anni fa quando ho fatto smartworking mica c'era tutta 'sta roba dei meeting, delle chat sempre online. C'era la classica mail e gli SMS per le emergenze (che tali dovevano essere). E tanto bastava.
La questione è la mentalità: nella azienda dove lavoravo erano organizzati per permettere questo tipo di lavoro (almeno verso di me che non avevo necessità di usare attrezzature particolari), in altre "più moderne" invece vige il caos dove l'organizzazione del lavoro è quello che il reparto di marketing decide la mattina, ovvero se oggi è meglio che la nuova funzione sia completata per il rilascio futuro o se il al baco rilevato da tale cliente è più prioritario e va chiuso entro sera. E se non sei presente 8 ore significa che non stai lavorando... e certo...
Ora che l'emergenza pandemia sta rientrando sto vedendo quello che temevo: il ritorno alle vecchie care abitudini di avere il dipendente lì seduto sulla sedia a fissare il suo bel monitor sicuri che stia lavorando sodo e meglio che da casa (o in vero smart working là dove possibile). Tanto che il traffico è esattamente quello pre pandemia nonostante le suole chiuse.
Scommetto che alla fine dell'emergenza di questa esperienza rimarrà veramente poco. Soltanto pochissimi potranno godere delle nuove modalità lavorative e fino a che il proprio responsabile rimarrà lo stesso, perché se cambia cambierà cambieranno anche le aspettative (aspettative più alte = devi lavorare in ufficio, a casa poltrisci).
Dicevo all'inizio che è complesso il tema, perché ci sono anche delle esperienze dove il lavoro fuori dall'ufficio è impossibile (non solo per la manifattura in genere, ma anche per chi sviluppa usando attrezzature particolari che non può portarsi a casa o non è conveniente farlo, tipo non so quanti di voi sarebbero disposti a prendersi carico di un macchinario che costa 40 o 100 mila euro magari da trasportare avanti e indietro) o per alcuni individui che, come detto precedentemente, sono lì solo per "rubare" lo stipendio e se riescono a fare nulla in ufficio (perché si può fare, visto per anni in situazioni che definire ridicole è poco, dove la parola obiettivo era intesa solo come lente della macchina fotografica) figuriamoci quando dediti al lavoro sarebbero a casa propria.
Ci sono quindi anche persone il cui compito sarebbe quello di controllo ma che manco quello riescono a fare quando il dipendente è in presenza, provate a pensare con quali mezzi o metriche potrebbero essere capaci di valutare la produttività di qualcuno che lavora in remoto. Dalla mia esperienza sono spesso quelle persone che sono incapaci (o molto meno efficienti) a fare un determinato lavoro e vengono promosse a fare qualcosa d'altro che non sia produrre in maniera diretta (con tutto il rispetto per chi copre questi ruoli per merito... ma fatevi una domanda da soli... sareste capaci di fare il lavoro di chi controllate/coordinate? E quindi lo capite veramente quanto è l'impegno necessario per fare una cosa? Dalla mia esperienza chi non sa fare per davvero il lavoro i chi controlla non sa valutare veramente l'impegno e da qui nascono una serie di incomprensioni di cui spesso godo o soffro, perché l'impegno richiesto è decisamente inferiore o maggiore al tempo stimato da qualcuno che appunto non ha alcuna idea di quel che si parla ma è lì solo per tirare linee in un Gantt).
Quindi per quieto vivere anche verso i loro superiori, meglio che ce ne stiamo in ufficio a guardare il monitor, magari acceso con lo sfondo del desktop, e goderci l'aria condizionata piuttosto che a casa a lavorare in pantaloncini e ciabatte nel caldo afoso con un proprio responsabile capace di valutare veramente quello che possiamo fare, concordiamo di fare e facciamo realmente.
Va be', speriamo che quanto vissuto non andrà tutto perso, ma secondo me rimarrà ben poco.
Il lavoro può essere smart, ma i cervelli molto meno.
Buon viaggio di rientro a tutti.
Non ho richieste extra orario, facciamo tutti le nostre 8 ore giornaliere dalle 9 alle 18.
La mia opinione è che lo sto trovando alienante, avevo cambiato lavoro 4 mesi prima dell'inizio del lockdown, la maggior parte dei colleghi che lavorerebbero nel mio ufficio non li conosco.
Non si ha più nessun rapporto umano con i colleghi, ci si sente solo per qualche riunione in cui si parla solo di lavoro.
Non metto in dubbio che questa tipologia di lavoro ha i suoi vantaggi, ma preferirei ritornare almeno ad una situazione ibrida.
io sono stato in una situazione simile, assunto ad agosto, per mia fortuna dei colleghi organizzarono un evento informale a cui potei partecipare, così ho conosciuto un po di gente di persona. Quando mesi dopo è stato possibile andare in ufficio, l'ho fatto e ho anche iniziato collaborazioni con altri gruppi aziendali. Collaborazioni nate da chiacchiere alla macchinetta del caffè o a tavola
Però non andando in ufficio riesco a sbrigare qualche commissione in giornata quando serve o a fare un po di allenamenti la sera senza fare troppo tardi o avere la stanchezza del viaggio addosso.
Quindi anche per me, con questa tipologia di lavoro che sto facendo ora, la scelta migliore è il modello ibrido, maggioranza da remoto (più o meno smart, perchè non ho un orario preciso, ma dovendo fare spesso riunioni, queste sono mediamente fatte in "orario lavorativo standard"
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